Caos zone rosse, Bergamo in rivolta. I parenti delle vittime: la strage si poteva evitare. Il premier Conte convocato dai pm

comitato_vittime_bergamo
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di Simone Pierini
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Giovedì 11 Giugno 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 08:50

La mancata zona rossa, il rimpallo delle responsabilità tra Roma e Regione Lombardia. Dopo il governatore Fontana e l’assessore Gallera, davanti ai pm della procura di Bergamo sfileranno anche il premier Conte, i ministri Speranza e Lamorgese e il presidente dell’Iss Brusaferro, come persone informate sui fatti. Domani l’audizione del presidente del Consiglio

È il 23 febbraio, ogni momento è decisivo per arginare la propagazione del virus. Codogno è già off limits, sigillata dai militari. Ma nessuno decide fino all’8 marzo: Conte chiude l’intera Lombardia. Per la Val Seriana ormai è tardi: è il centro del contagio. Gli ospedali sono cluster fuori controllo. Alzano, Nembro, fino a Bergamo vivono con le sirene delle ambulanze sullo sfondo. Al pronto soccorso “Pesenti Fenaroli” di Alzano vengono trovati due positivi, la struttura viene chiusa e riaperta in poche ore. Fontana poteva agire o doveva attendere il governo centrale? Ascoltati dai pm a fine maggio, Fontana e Gallera hanno scaricato su Roma le responsabilità. Il procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota aveva detto pubblicamente che l’istituzione della zona rossa avrebbe dovuto essere «una decisione governativa». «Possono farlo anche le Regioni, come avvenuto in altri casi», la risp--+--osta da Palazzo Chigi. Nei mesi di marzo e aprile 2020 in Italia sono state istituite ben 117 zone rosse e arancioni da diversi governatori. 

Ieri i parenti delle vittime si sono uniti sotto la procura di Bergamo per chiedere risposte. «Quindici giorni di assoluta inerzia che hanno permesso al focolaio della media Valle Seriana di espandersi liberamente e in modo incontrollato, diventando un incendio di proporzioni devastanti». Sono le parole dei componenti del comitato “Noi denunciamo” in presidio. Innalzano cartelli, chiedono giustizia e qualche responsabilità, raccontano storie raccapriccianti di abbandono sanitario e morte di decine di parenti. «Serve la resa dei conti». 

IL BOLLETTINO DEL 10 GIUGNO. Numeri incoraggianti a quasi un mese dal 18 maggio, ma ancora presto per festeggiarli in rapporto al 3 giugno. Il contagio è in calo, almeno negli ultimi due giorni. L’aumento dei tamponi (ieri 62.699) non ha provocato scossoni e anzi, il dato dei casi positivi in più è sceso a 202 in un giorno. A determinare questa discesa anche il miglioramento della Lombardia, che ha registrato 99 casi con oltre 9mila test. Non arrivano ancora buone notizie invece dai dati che riguardano le vittime: altre 71, con il totale che ha ormai raggiunto 34.114 e che non sembra volersi fermare. Negli ospedali i malati in terapia intensiva sono scesi a 249 mentre i ricoverati con sintomi sono 4.320. Ad oggi in Italia le persone positive sono 31.710.
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