Coronavirus, la tristezza di un infermiere nella festa del papà: «Mi manca abbracciare i miei figli»

Coronavirus, la tristezza di un infermiere nella festa del papà: «Mi manca abbracciare i miei figli»
Coronavirus, la tristezza di un infermiere nella festa del papà: «Mi manca abbracciare i miei figli»
3 Minuti di Lettura
Giovedì 19 Marzo 2020, 20:50

L'emergenza coronavirus ha reso amara questa festa del papà, soprattutto per i tanti medici, infermieri e personale sanitario che in Lombardia e in tutta Italia sta lottando contro la pandemia. E un caso commovente è quello di Giuseppe Aiello, infermiere della Fondazione Policlinico di Milano e responsabile aziendale Nursing Up, per il quale quella di oggi è stata una festa del papà diversa, senza abbracci ma con un affetto che rimane immutato e anzi semmai ancora più grande.

Leggi anche > La lettera di una figlia: «Mio papà è morto, ma ringrazio di cuore i medici»

Giuseppe è infermiere e anche sua moglie: con i loro figli cercano di interagire in maniera diretta il meno possibile e mantenere le distanze. La casa, 100 metri quadri, è divisa negli spazi tra i due coniugi e i ragazzi, la cena si consuma separati e anche all'interno si utilizzano le mascherine. I ragazzi hanno fatto al papà gli auguri a distanza. «Soprattutto la piccola di casa, 14 anni - spiega Giuseppe - è molto legata a me. In questo periodo purtroppo siamo costretti a rimanere distanti. Mi manca molto il contatto fisico, ma credo che manchi molto di più a lei. A tutti i papà oggi dico godetevi i figli finché è possibile e in qualsiasi modo, anche se in questo momento non può esserci un contatto fisico
».

Leggi anche > Coronavirus, morti altri tre medici in Lombardia. Sale a 10 il numero delle vittime


«I miei figli comprendono, sanno cosa faccio. Sanno quali sono i rischi che affronto e faccio affrontare anche a loro. C'è sempre il rischio di portarsi a casa qualcosa. Devo dire che i miei figli sono stati i primi a comprenderlo e anche a comportarsi di conseguenza, a non voler uscire, a ricordarmi di indossare sempre la mascherina». «Sarei più disponibile a vivere 24 ore su 24 in ospedale, proprio per non rischiare di portare nulla a casa, ma non è possibile. Non c'è proprio lo spazio fisico. Gli spazi si stanno utilizzando per i Covid positivi», aggiunge Giuseppe.

«Quella contro il Covid - sottolinea Giuseppe - è più di una guerra, perché si va in guerra quando si combatte alla pari, noi in questo momento non ci battiamo alla pari. Siamo soldati senza fucili. È come se ci avessero mandato al fronte senza protezione e armamento, è un problema di tutta Italia: i presidi mancano, non ci sono». «Faccio un appello - conclude - aiutateci altrimenti non ce la faremo. Bisogna avere la collaborazione di tutti, uscendo il meno possibile di casa. Non è che non bastino più solo i posti letto, non bastiamo più nemmeno noi come risorse umane. Lavoriamo con poche protezioni, con turni massacranti e purtroppo ci ammaliamo sempre di più». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA