"Prendiamo il bottino", così i prof truccavano i concorsi universitari

"Prendiamo il bottino", così i prof truccavano i concorsi universitari
di Valentina Errante
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Mercoledì 27 Settembre 2017, 08:16 - Ultimo aggiornamento: 09:14

Nella logica «predatoria» le commissioni d'esame per le abilitazioni sono campi di battaglia: fonte di bottini. E alla fine i docenti di Diritto tributario tirano le somme dei risultati ottenuti dalle scuole. Sono le intercettazioni agli atti della procura di Firenze, che lunedì ha mandato ai domiciliari sette baroni, indagato 59 professori, interdicendone 22 dall'insegnamento negli Atenei italiani, a raccontare come la sistematica spartizione delle cariche di associati e ordinari accendesse dei crediti che, dopo i concorsi, i commissari avrebbero vantato dai colleghi più illustri: i caposcuola. Sullo sfondo anche piccole guerre quotidiane tra baroni e il sospetto che alcuni di loro, con abilitazioni immeritate, sperassero di ottenere anche incarichi pubblici.

IL BOTTINO
Si legge negli atti: «Ogni commissario vive il sorteggio a membro della commissione come un'occasione unica per conseguire l'utilità personale di far abilitare soggetti a lui vicini, nonché per contribuire a far realizzare quei risultati positivi per l'associazione di appartenenza che Di Pietro (Adriano di Pietro, docente dell'Università di Bologna da lunedì ai domiciliari ndr) chiamerà esattamente bottino, alludendo con significativa verosimiglianza a una condotta predatoria, ostacolando al contempo, per quanto possibile, le abilitazioni dei candidati che fanno riferimento alla contrapposta associazione, al fine di limitarne il potere». Il commercio di titoli, anche a fronte di curricula ridicoli dei candidati, avrebbe garantito crediti da riscuotere: «Tale linea di condotta da parte di ciascuno dei commissari - si legge ancora - fa conseguire anche risultati di riconoscenza da parte degli accademici aiutati facendo abilitare i candidati da loro portati, dai quali dunque il commissario si aspetta di ricevere a sua volta in futuro favori di varia natura in ambito accademico, aumentando pertanto il proprio potere e la propria influenza». Per il pm, «secondo un'aberrante logica fuori da ogni ragione istituzionale» sarebbero i capiscuola di una certa area territoriale a scegliere chi dovesse essere abilitato tra i candidati portati da quella scuola.

L'EN PLEIN
In un'intercettazione Di Pietro e il collega Giuseppe Cipolla dell'Università di Cassino (ai domiciliari) fanno il bilancio delle abilitazioni 2013. «Tesauro ha avuto due ordinari più un associato», dice Di Pietro, Cipolla risponde: «chi si può lamentare? Tosi ne ha avuto uno, la scuola di Pavia. Io pure, poi, alla fine, su sua indicazione, ho votato Moratti, non lo conosco, non mi intere... e l'abbiamo votato». E l'altro: «I romani hanno avuto Puri, hanno avuto la Cannizzaro, hanno avuto Odoardi». E di Pietro: «Hanno avuto Marino». Il bilancio va avanti: «I siciliani hanno avuto l'en plein, ti telefonerà anche poi Andrea Parlato perché l'ho chiamato e devo dire che insomma era quasi commosso... Non c'è stato nessuno che non abbia avuto, tutti hanno avuto tanto».

L'INTERCETTAZIONE
Dagli atti emerge il sospetto che anche i baroni, aspirassero a ottenere di più. Il commissario Zizzo (Giuseppe ai domiciliari ndr) aveva come principale obiettivo quello di far abilitare in prima fascia Francesco Tundo: «Secondo Tesauro e Tosi, Zizzo contava anche di ricevere da Tundo, in cambio del proprio appoggio, incarichi e consulenze da enti pubblici per il tramite della moglie del candidato, Francesca Balzani, già europarlamentare del Partito democratico nonché vicesindaco e assessore al bilancio del comune di Milano, per la cui candidatura a sindaco Zizzo risulta aver firmato infatti un appello pubblico degli esponenti della cultura milanese».

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