Condannare i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro a 18 anni di reclusione con l'accusa di omicidio preterintenzionale. Assoluzione invece «per non aver commesso il fatto» per il militare Francesco Tedesco, imputato che poi ha svelato il pestaggio subito da Cucchi. Sono le richieste del pm Giovanni Musarò al processo per la morte di Stefano Cucchi. Chiesta inoltre la condanna a 3 anni e mezzo per Tedesco per l'accusa di falso. Il pm ha chiesto inoltre di condannare a 8 anni di reclusione il maresciallo Roberto Mandolini (all'epoca dei fatti comandante interinale della Stazione Appia) per l'accusa di falso, mentre il non doversi procedere per prescrizione dall'accusa di calunnia è stata sollecitata per il carabiniere Vincenzo Nicolardi e per Francesco Tedesco e Roberto Mandolini.
Quello subito da Stefano Cucchi fu «un pestaggio violentissimo in uno stato di minorata difesa». È quanto sostiene il pm Giovanni Musarò, nella sua requisitoria del processo per la morte del geometra romano arrestato nell'ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo. «Sono due le persone che lo aggrediscono - continua il pm -. Colpito quando era già a terra con calci in faccia, di questo stiamo parlando. La minorata difesa deriva dal suo stato di magrezza». Sul banco degli imputati ci sono cinque carabinieri: si tratta di Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, tutti accusati di omicidio preterintenzionale e abuso d'autorità (Tedesco anche di calunnia nei confronti degli agenti della Penitenziaria assoluti in via definitiva); Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, tutti accusati di calunnia (Mandolini, anche di falso).
«Questo non è un processo all'Arma dei Carabinieri, ma è un processo contro cinque suoi esponenti che nel 2009 violarono il giuramento di fedeltà alle leggi e alla Costituzione, tradendo innanzitutto l'Istituzione di cui facevano e fanno parte», aggiunge Musarò nella parte conclusiva della sua requisitoria. Per il rappresentante dell'accusa (il quale ha precisato che «i depistaggi del 2009 hanno assunto grande rilevanza, perché hanno condizionato la ricostruzione dei fatti» oggetto di questo processo) «la migliore riprova di tale assunto è rappresentata dal fatto che l'acquisizione di alcuni elementi decisivi, sia ai fini di questo processo sia ai fini di quello sui depistaggi del 2015, è stata possibile grazie alla leale collaborazione offerta nel 2018 e nel 2019 proprio dall'Arma dei Carabinieri, in particolare dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma, dal Reparto Operativo e dal Nucleo Investigativo, i cui componenti hanno profuso impegno e intelligenza ai fini della esatta ricostruzione dei fatti».
Secondo il pm «per sgombrare definitivamente il campo da strumentali insinuazioni, non si può sottacere che straordinaria importanza ha assunto la costituzione di parte civile del Comando Generale dei Carabinieri nel cosiddetto processo dei depistaggi». «Nella vicenda Cucchi i depistaggi hanno toccato picchi da film dell'orrore. La responsabilità è stata scientificamente indirizzata verso tre agenti della Polizia Penitenziaria. Ma il depistaggio ha riguardato anche un ministro della Repubblica che è andato in Senato e ha dichiarato il falso davanti a tutto il Paese» ha aggiunto il pm.
«Il 15 ottobre 2009 quando venne arrestato Stefano Cucchi stava bene.