Uccise il padre violento, il pm: «Costretto a chiedere 14 anni»

Uccise il padre violento, il pm: «Costretto a chiedere 14 anni»
di Elena Gianturco, Valeria Arnaldi
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Martedì 9 Novembre 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 08:52

Sono 14 gli anni di carcere che il pm ha chiesto per Alex Pompa, lo studente di 20 anni processato a Torino con l'accusa di avere ucciso il padre Giuseppe con 34 coltellate per difendere la mamma durante l'ennesima lite in famiglia. Una scelta obbligata per il magistrato che si è detto «costretto» a proporre una pena così elevata e ha invitato la Corte di Assise di sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti. Non è bastata la perizia di una sindrome post-traumatica provocata dal comportamento paterno e neppure le testimonianze dell’inferno in cui viveva la famiglia. Alex, definito dallo stesso pm Alessandro Aghemo «un bravo ragazzo, serio e studioso», per l’accusa, deve scontare 14 anni per aver ucciso il 30 aprile del 2020 nella loro casa di Collegno il padre con 6 coltelli diversi e oltre trenta fendenti. La vittima, Giuseppe Pompa, 52 anni, è stata descritta come una persona «ossessiva, aggressiva, molesta e problematica». Ma anche gelosa della moglie Maria Caiola. La donna in aula ha raccontato che nelle ore precedenti all'omicidio era stata chiamata dal marito ben «101 volte».

La famiglia viveva in uno stato di terrore costante, tanto che nel corso dei mesi la moglie e i figli hanno registrato le continue sfuriate del 52enne: «perché pensavamo che ci avrebbe ammazzato». Il giovane ha sempre sostenuto di aver agito per difendere la madre e il fratello dalle violenze, ma secondo la Procura le angherie e le vessazioni sono state «enfatizzate» nel corso del processo. «Giuseppe - ha osservato il pm - si comportava in maniera ingiustificabile, ma ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato». Il magistrato ha comunque aggiunto che «era l'artefice delle sofferenze del figlio» e ha chiamato in causa le attenuanti generiche e della provocazione 'per accumulo’. «Ma il codice - ha concluso - mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante del vincolo di parentela e quindi una pena inferiore. Valutino i giudici se questa norma è ragionevole».

CATIZONE: PM SCARICABARILE, COSì LA VITTIMA DIVENTA CARNEFICE

«Valutino i giudici se questa norma è ragionevole». Questo l’appello del pm che, a Torino, si è detto «costretto» a proporre una pena di 14 anni per un giovane che ha ucciso il padre. Avvocata Andrea Catizone, specializzata in diritto di famiglia, della persona e dei minori, come valuta l’accaduto? 
«Mi sembra che ci sia una sorta di scaricabarile nella dinamica processuale. Il compito dell’accusa è proprio individuare pienamente le responsabilità nel processo, mi pare che ultimamente questa funzione, in alcuni casi, sia un po’ edulcorata, non esercitata fino in fondo. Ciò limita la pienezza dei diritti di cittadini e cittadine». 
Le attenuanti avrebbero dovuto prevalere? «Questo è un caso limite, perché la vittima, dopo anni di sopportazione, diventa carnefice. Penso che il tema delle attenuanti debba essere considerato, usando la discrezionalità nell’interpretazione delle norme che i magistrati possono avere. Faccio appello al buonsenso del giudice nel considerare la situazione in cui si è trovato il ragazzo. Il nostro sistema è troppo carente in materia di prevenzione e tutela». 
Riconoscere il “peso” del contesto sarebbe importante come precedente? «Sì, ovviamente senza lanciare il messaggio che ci si debba fare giustizia da soli».

GASSANI: CONTA SOLO LA LEGGE, LA VIOLENZA NON PUO' ESSERE ACCETTATA

È una questione di legittimità costituzionale ad essere stata sollevata dal pm a Torino. Avvocato Gian Ettore Gassani, presidente AMI-Associazione avvocati matrimonialisti italiani, cosa pensa delle dichiarazioni del pm e del suo essersi detto “costretto” a chiedere una condanna dura? 
«Il magistrato è vincolato a ciò che è previsto dal codice penale, non è che in sede penale ci sia un ampio margine discrezionale, o cambiamo le norme o bisogna applicarle. Qui evidentemente è mancata la prova della legittima difesa. Se ci fosse stata, per il giovane non ci sarebbe stato alcun giorno di carcere». 
E le vessazioni subite?
«Il clima in famiglia e le eventuali vessazioni non possono giustificare un omicidio. Il principio prevede l’aggravante per chi uccide un congiunto, perché si possa evitare la condanna si deve dimostrare la situazione di pericolo e tale da giustificare la reazione. Occorrono le prove». 
Si è detto che madre e figlio temevano di essere uccisi. 
«Capisco il contesto ma attenzione a non sdoganare l’omicidio quando ci sono gravi crisi familiari, si rischia di cadere nel far west familiare.

Esistono denunce, centri anti-violenza, magistrati, tante cose. Ogni forma di violenza va sanzionata senza se e senza ma». 

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