«45mila lavoratori del Nord in smart working al Sud»: l'esodo al contrario in tempi di Covid

«45mila lavoratori del Nord in smart working al Sud»: l'esodo al contrario in tempi di Covid
«45mila lavoratori del Nord in smart working al Sud»: l'esodo al contrario in tempi di Covid
4 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Novembre 2020, 12:43

Un vero e proprio esodo al contrario: in tempi di coronavirus i lavoratori non si spostano più dal Sud al Nord, ma dal Nord al Sud per via dello smart working. Secondo un'indagine della Svimez, realizzata da Datamining sul "southworking", sono ben 45mila i lavoratori delle grandi aziende del Nord che dall'inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud. L'indagine è stata condotta su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. 

Leggi anche > Coronavirus, le ultime notizie in diretta

Una cifra quella dei quarantacinquemila lavoratori - si legge - che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. «Il dato - prosegue la ricerca - potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali». I dati sono contenuti nel Rapporto Svimez 2020, che sarà presentato martedì 24 novembre. 

Lo studio ricorda che attualmente sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro-Nord. Dall'indagine emerge inoltre che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l'80% degli addetti, «circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking». «Poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centro-Nord la possibilità di lavorare dai rispettivi territori di origine - sottolinea lo Svimez - potrebbe costituire un inedito e quanto mai opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese». «Occorre concentrare gli interventi - prosegue - sull'obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centro-Nord. La platea di giovani potenzialmente interessati potrebbe ammontare a circa 60.000 giovani laureati».

Il capitolo del Rapporto Svimez è stato realizzato in collaborazione con l'associazione South Working Lavorare dal Sud fondata dalla giovane palermitana e south-worker Elena Militello.

In base ai dati dell'Associazione l'85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. La ricerca Svimez analizza anche i vantaggi che le imprese e i lavoratori oggetto dell'indagine hanno riscontrato nella sperimentazione di esperienze di southworking e le politiche che sarebbero necessarie per la diffusione di tali esperienze.

La maggior parte delle aziende intervistate ritiene che i vantaggi principali del southworking siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell'azienda; il necessario investimento da fare a carico dell'azienda; i problemi di sicurezza informatica. Tra i vantaggi che i lavoratori percepiscono di più nel momento in cui gli viene proposto lo spostamento nelle aree del Mezzogiorno, i principali sono il minor costo della vita, seguito dalla maggior possibilità di trovare abitazioni a basso costo. Per quanto riguarda gli svantaggi, spiccano i servizi sanitari e di trasporto di minor qualità, poca possibilità di far carriera e minore offerta di servizi per la famiglia.

«Il southworking - commenta Luca Bianchi Direttore Svimez - potrebbe rivelarsi un'interessante opportunità per interrompere i processi di deaccumulazione di capitale umano qualificato iniziati da un ventennio (circa un milione di giovani ha lasciato il Mezzogiorno senza tornarci) e che stanno irreversibilmente compromettendo lo sviluppo delle aree meridionali e di tutte le zone periferiche del Paese. Per realizzare questa nuova opportunità è tuttavia indispensabile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrato su quattro cluster: incentivi di tipo fiscale e contributivo; creazione di spazi di co-working; investimenti sull'offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari); infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche».

© RIPRODUZIONE RISERVATA