Covid, il genetista Gasparini: «In Italia almeno 6 milioni di contagiati, gli anticorpi spariscono troppo presto»

Covid, il genetista Gasparini: «In Italia almeno 6 milioni di contagiati, gli anticorpi spariscono troppo presto»
di Valentina Arcovio
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Venerdì 2 Ottobre 2020, 10:25 - Ultimo aggiornamento: 12:24

«Gli italiani contagiati dal nuovo coronavirus sono molti di più di quanto riportano le stime ufficiali e i test sierologici potrebbero non aiutarci a rintracciarli tutti». A parlare è Paolo Gasparini, docente ordinario di genetica all'Università di Trieste e direttore del dipartimento di Diagnostica avanzata dell'Ospedale Burlo Garofalo di Trieste, che svela nuovi e inquietanti limiti alla nostra conoscenza sulla diffusione del virus Sars-Cov-2. Con implicazioni importanti per la futura gestione della pandemia.
Professore, perché pensa che il numero dei contagiati reali sia più alto?
«Sulla base di uno studio che abbiamo condotto al Burlo Garofalo, in cui abbiamo dimostrato che gli anticorpi sviluppati a seguito del contagio, dopo poco tempo non risultano più rilevabili nel sangue. E' come se sparissero. Quindi, con i nostri attuali strumenti non siamo in grado di individuare tutte le persone colpite dal virus».
Di quanto pensa sia stato sottostimato il numero totale dei contagiati?
«A luglio le stime dell'Istat indicavano circa 1,5 milioni di persone contagiate. Ma quando è stata effettuata la rilevazione probabilmente gli anticorpi cominciavano già a scomparire. Noi stimiamo circa 6 milioni di contagiati. E' ovviamente solo una stima approssimativa, ma è più vicina al numero reale del fenomeno».
Come è arrivato a questo calcolo?
«Scoprendo che gli anticorpi spariscono in pochi mesi nella stragrande maggioranza dei casi. Abbiamo testato, tra aprile e luglio, 720 dipendenti dell'ospedale, sia amministrativi in smartworking che gli operatori sanitari a contatto con i malati. In una prima rilevazione effettuata tra fine marzo e inizi aprile abbiamo scoperto che il 17 per cento era positivo e che aveva sviluppato gli anticorpi. In molti casi si trattava di persone asintomatiche o paucisintomatiche, che non sospettavamo nemmeno che fossero positive. In particolare, la percentuale di positività tra gli amministrativi è stata del 10 per cento, quella degli operatori sanitari del 20 per cento. Dopo tre mesi abbiamo effettuato una nuova rilevazione: ebbene, se ad aprile il 17 per cento era positivo al test, dopo tre mesi meno dell'1 per cento aveva ancora gli anticorpi. Con un semplice calcolo possiamo stimare che il dato dell'Istat è quasi sei volte più basso di quello che potrebbe essere il dato reale».
In pratica, gli anticorpi che potrebbero dirci se in passato siamo stati contagiati o meno a un certo punto scompaiono?
«Proprio così. Più precisamente, la quantità degli anticorpi si riduce drasticamente nel tempo, tanto che non sono più rilevabili con gli attuali test a nostra disposizione. Io stesso, che avevo scoperto di essermi ammalato, ora non ho più gli anticorpi che dimostrano la mia passata positività».
Quali possono essere le implicazioni del vostro studio?
«Diverse. Primo: ci domandiamo se gli attuali test sierologici determinano o meno se una persona è stata contagiata o meno in passato. Secondo: ci chiediamo quanto durerà l'efficacia di un futuro vaccino».
E' probabile che l'immunità al virus Sars-Cov-2 duri molto poco e che quindi potremmo ammalarci più volte?
«Questa purtroppo è una possibilità. Tuttavia è anche possibile che il nostro sistema immunitario conservi in memoria il virus e che metta in circolo gli anticorpi solo nel momento in cui diventa necessario e che è per questo che dopo un po' non riusciamo a rivelarli con i nostri test».
Quale potrebbe essere l'ipotesi alternativa?
E' possibile che dovremmo abituarci all'idea che periodicamente ci toccherà fare i conti con il virus, anche se avremo fatto un vaccino. E' bene quindi prepararsi a ogni eventualità per evitare di essere nuovamente colti alla sprovvista». 

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