Coronavirus, il virologo Pregliasco: «La battaglia non finirà il 3 aprile, ma un rallentamento forse c'è»

Coronavirus, il virologo Pregliasco: «Stretta da prorogare oltre il 3 aprile»
Coronavirus, il virologo Pregliasco: «Stretta da prorogare oltre il 3 aprile»
di Valentina Arcovio
4 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Marzo 2020, 02:02 - Ultimo aggiornamento: 15:54

«Siamo ancora nella fase acuta dell'epidemia di coronavirus, ma qualche timido segnale positivo lo possiamo osservare sul numero dei ricoveri e delle terapie intensive». Per Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano, non potevamo che aspettarci che un altro aumento «esponenziale» del numero dei contagi e dei decessi. «Troppo presto per sperare di vedere un cambiamento significativo», dice.

Coronavirus, Pregliasco: «Il contagio può ancora esplodere in Italia, ma ce la faremo»

È dura fare sacrifici e rimanere in casa, quando contagi e morti continuano a essere spaventosamente così alti.
«Lo posso capire, ma non dobbiamo affatto stupirci se gli effetti delle misure restrittive non sono ancora evidenti. Sarà così anche domani, dopodomani e per qualche altro giorno ancora. Ci vuole infatti più tempo per sperare in un segnale positivo».

Più o meno quanto tempo ci vorrà?
«Diciamo che ci vuole all’incirca una settimana per scorgere un primo segnale positivo, ad esempio una lieve flessione nell’aumento dei casi. E ci vogliono all’incirca 2 settimane per sperare se non in una frenata, quantomeno in una stabilizzazione».

Quindi probabilmente le misure restrittive verranno prorogate oltre il 3 aprile?
«Quasi sicuramente sì. Non avrebbe senso riprendere le attività come se niente fosse. Si rischia di mandare per aria tutti i sacrifici fatti nei giorni precedenti».

Quando possiamo sperare di venirne fuori?
«È difficile fare previsioni, ma in base all’andamento del coronavirus in Cina e ai dati italiani, possiamo stimare uno scenario con picco a fine marzo e la fine del problema in Italia tra maggio e giugno. Sarà interessante vedere come si comporterà la Cina nei prossimi giorni, ora che sembra quasi essere uscita dall’emergenza. Certamente non si potrà riprendere le attività subito e tutte insieme. Sarà un errore che dovremo evitare di fare anche noi per evitare in un ritorno dell’emergenza. Inoltre, tra gli elementi che possono influire c’è l’incognita rappresentata dal resto d’Europa e dalla Gran Bretagna. Stiamo vedendo mancanza di coordinamento e azioni disomogenee, che possono rovinare quello che si sta facendo in Italia». 

In che senso?
«È necessaria una stretta complessiva. Ma mi rendo conto che è difficile valutare il problema quando sembra ancora lontano, anche fisicamente. Un po’ come è accaduto al Centro-Sud quando c’era la zona rossa: non pensi che il problema sia tuo. Purtroppo il coronavirus si sposta con le persone. Quindi le immagini di stadi pieni o la mancanza di interventi drastici in altri paesi europei suscitano preoccupazioni per l’effetto che potranno avere anche, di riflesso, su di noi».

La Lombardia ha iniziato prima del resto di Italia a bloccare le attività, non dovremmo vedere qualche segnale positivo?
«Sì è vero, ma le misure più restrittive risalgono a pochi giorni fa. Se proprio vogliamo vedere un piccolo e timido segnale positivo possiamo guardare al numero dei ricoveri. Più precisamente al fatto che si è allungato il numero di giorni in cui i ricoveri sono raddoppiati».

Può spiegarsi meglio?
«Il numero dei ricoveri cresce ma impiega più tempo nel farlo. Ma consiglio ai cittadini in questo momento di non concentrarsi molto sui numeri, ma sulla battaglia che ognuno di noi sta combattendo. Bisogna stringere i denti e continuare a seguire le misure restrittive, anche se ci sembrano pesanti».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA