Coronavirus, mariti, mogli e e figli sparsi per l'Europa: così il morbo divide anche le famiglie

Coronavirus, mariti, mogli e e figli sparsi per l'Europa: così il morbo divide anche le famiglie
di Maria Latella
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Lunedì 2 Marzo 2020, 07:06 - Ultimo aggiornamento: 12:01

«Ci scusi tanto, ma per ordini superiori dobbiamo rinunciare alla sua presenza. Sa com'è,
Venezia rientra nelle aree toccate dal corona virus».
ll professor Pierpaolo Campostrini, amministratore delegato del consorzio Corila di Venezia, doveva essere a Copenaghen per un convegno di scienziati europei per il quale si era preparato, investendo tempo e concentrazione nel discorso che gli era stato chiesto di pronunciare. Giorni fa, un imbarazzato funzionario dell'organizzazione danese l'ha chiamato per annunciargli che, ahimè, dovevano fare a meno della sua presenza. Campostrini un po' si è scocciato, poi ha deciso che invece di andare in Danimarca sarebbe andato in Olanda, dove vive sua figlia, biologa. Atterrato a Schiphol ha scoperto che il fatto di essere partito da Venezia non interessava in alcun modo. «Nessuno mi ha misurato la temperatura e nessuno qui gira con la mascherina».

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Il professor Campostrini ha saggiamente investito il fine settimana in una visita alla figlia che vive in Olanda: meglio passare qualche giorno con lei prima che anche lì ci ripensino e blocchino i veneti alla frontiera come hanno fatto in Danimarca. Il che suggerisce, e forse impone, una riflessione: quante famiglie italiane in questi giorni si stanno chiedendo se andare o no a trovare i figli, i fidanzati, i fratelli che vivono in Europa? Quanti si chiedono se, chissà, magari tra un paio di settimane i congiunti saranno blindati e dunque irraggiungibili? O se blindati saremo noi, visto che ora anche Trump, oltre che Israele e vari altri, scoraggiano i viaggi dall'Italia?

GENERAZIONE LOW COST
Tutto quello che in questi anni è sembrato certezza, il vivere in Paesi diversi, a distanza di un'ora o due di volo low cost, sembra ora messo in discussione. Negli anni e in tutte le classi sociali si è andato affermando uno stile di vita che è diventato molto più diffuso di quanto si pensi. Di colpo, vacilla. Secondo i dati del 2019, 250mila giovani italiani hanno lasciato l'Italia per ragioni di studio e di lavoro. Si sono trasferiti soprattutto in Gran Bretagna, in Germania, in Francia. Nel giro di un paio di mesi, prima la Brexit e adesso il Covid19 complicano progetti e abitudini.
Di questo, credo, dovrebbero occuparsi a palazzo Berlaymont, sede della commissione europea. Perché la forza delle istituzioni europee attinge energia anche dalle centinaia di migliaia di giovani europei che in questi anni hanno vissuto non più e non solo una dimensione nazionale ma anche, nei fatti, continentale. A Bruxelles, in quella sede dell'Ue che ha messo in quarantena i dipendenti reduci da soggiorni nel nord Italia, si sono posti il problema? Hanno riflettuto sul messaggio inviato dal cuore d'Europa alle famiglie ormai sparse per tutto il continente?
Parlo anche per fatto personale. Mio marito lavora a Parigi ed è stato invitato a restare a casa per i previsti 14 giorni di quarantena. Motivo? Ha trascorso un giorno a Milano per una riunione di lavoro durata un paio d'ore. Niente ufficio e solo smart working per decisione aziendale, ma anche a lui, come a Campostrini, nessuno ha chiesto niente atterrando da Milano all'aeroporto Charles de Gaulle. Nessuno gli ha misurato la temperatura e del resto il virus si sviluppa in quattordici giorni, dunque tocca aspettare. A casa.
«La cosa bizzarra è proprio questa - sottolinea Campostrini - Non si può partecipare a un convegno o recarsi in ufficio. Ma si può tranquillamente circolare per gli aeroporti di tutta Europa». Tutti noi ci auguriamo che questa sia una fase il più possibile temporanea. Ma seppure si rivelasse tutto sommato breve, sarebbe imperdonabile non cogliere l'opportunità di riflettere sui cambiamenti che essa ci sta imponendo. Vogliamo davvero tornare a una dimensione più local che global? Nell'economia già si riflette sul reshoring, il riportare in Occidente le produzioni che la globalizzazione aveva trasferito in Cina, e l'ipotesi sembra sempre più ragionevole. Ma ai riflessi sulla vita di tante famiglie che si erano abituate a vivere da europei, per ora non sta pensando nessuno.
 

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