Coronavirus, 10mila medici neo-laureati subito in campo. Ma non in prima linea

Coronavirus, 10mila medici neo-laureati subito in campo. Ma non in prima linea
Coronavirus, 10mila medici neo-laureati subito in campo. Ma non in prima linea
di Camilla Mozzetti
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Mercoledì 18 Marzo 2020, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 09:33

ROMA Non vedranno la prima linea dell'emergenza Covid-19 perché non hanno ancora acquisito la formazione per farlo. È questo il futuro dei circa 10 mila medici neo-laureati a cui il governo ha riconosciuto l'abilitazione, cancellando il test scritto e valutando il solo tirocinio formativo. La laurea in Medicina con il decreto Cura Italia è diventata abilitante ma ciò non comporterà - di riflesso - la possibilità di avere al servizio dell'emergenza una carica di dottori.

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E il motivo è semplice: servono specializzati e questi - per diventare tali - devono frequentare dopo la laurea le Scuole di specializzazione delle varie discipline mediche. Da Anestesia a Medicina d'urgenza, da Chirurgia a Oncologia. Cosa potranno fare allora i neo-laureati abilitati? Classificabili come personale di supporto, sicuramente non resteranno con le mani in mano.

I COMPITI
Potranno garantire la continuità assistenziale con i turni, ad esempio, nelle Guardie mediche o il sostegno ai medici di famiglia negli ambulatori. Potranno altresì partecipare a quei bandi, che le Regioni e le tante aziende ospedaliere in questo periodo stanno licenziando, per essere impiegati nelle strutture di pre-triage che stanno comparendo negli ospedali al fine di valutare i casi sospetti e individuare poi i pazienti positivi, ma non si potranno occupare del loro trattamento.
 


Banalmente, potranno auscultare le loro spalle, compiere tamponi ma non potranno sostituirsi al personale medico che opera nelle Terapie intensive e dunque intubare un paziente e seguire - dal punto di vista interventistico e clinico - l'evoluzione della malattia.

In sostanza, non potranno replicare il lavoro di rianimatori, anestesisti, medici di medicina d'urgenza che lavorano nei pronto soccorso. «Credere in qualcosa di diverso - spiega Carlo Palermo, segretario dell'Anaao Assomed - significa illudere gli italiani».

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LA MANOVRA
Quello che serve, o che empiricamente servirebbe al Servizio sanitario nazionale, oggi e in prospettiva - considerata la comparsa di un nuovo virus come appunto il Covid-19 - è personale altamente qualificato e già formato. Nel decreto Cura Italia era stato previsto in un primo momento anche il finanziamento di ulteriori 5 mila borse di studio per le Scuole di specializzazione, che avrebbero sicuramente allargato i posti per chi, una volta laureato, sogna un percorso professionale nella sanità. «Bisogna ricordare - prosegue Palermo - che la sola laurea in Medicina non basta». Serve, appunto, specializzarsi. Eppure l'impresa è difficilissima, perché i laureati che entrano nelle Scuole e beneficiano così di una borsa e dunque di un contratto per l'intera durata del corso (che può variate in base alla disciplina da 4 a 6 anni), sono sempre pochi.

Nel 2019 all'ultimo concorso furono messi a bando 8.776 posti. In quanti parteciparono? I candidati furono 18.773. «Da anni - prosegue il numero uno dell'Anaao Assomed - oltre ai neo-laureati che provano l'ingresso nelle Scuole, ci portiamo dietro uno storico di circa 8 mila candidati che non hanno superato i concorsi negli anni passati ed ora avremo anche questi 10 mila neo abilitati che, ovviamente, proveranno ad entrare mentre il ministero dell'Istruzione punta, invece, ad allargare i posti nelle facoltà di Medicina». A volerla sintetizzare, non mancano i laureati o i possibili laureati, mancano gli specializzandi e i seguenti professionisti.

IL DEFICIT
L'emergenza Covid-19 ha portato a galla questa situazione, ormai cronicizzata nella sanità italiana. Dalle stime elaborate, incrociando i pensionamenti e gli specializzati, entro il 2025 si avrà un deficit enorme di professionisti.

In tutte le Regioni mancheranno infatti 4.241 medici di Medicina d'urgenza e 1.523 anestesisti-rianimatori (solo per annoverare le specializzazioni coinvolte nell'emergenza del coronavirus). Perché? «Nei prossimi 5 anni - conclude Palermo - usciranno dal Servizio sanitario nazionale 52 mila dipendenti. Se consideriamo il numero degli specializzandi attuali e dei neolaureati che sognano di entrare in una Scuola, i sostituti ci sarebbero senza però eccedenze. C'è tuttavia un problema: non tutti gli specializzati entrano nel Servizio sanitario come dipendenti». Storicamente ne resta fuori il 30% che sceglie la libera professione, di andare all'estero o il lavoro nelle aziende farmaceutiche. Risultato? Il Servizio sanitario dovrà affrontare un gap di circa 16 mila medici specializzati.

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