Coronavirus, nel confronto con Emilia e Veneto tutti i limiti del sistema lombardo

Coronavirus, nel confronto con Emilia e Veneto tutti i limiti del sistema lombardo
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Venerdì 3 Aprile 2020, 07:33 - Ultimo aggiornamento: 13:07

I primi pazienti positivi a Covid-19 a Codogno, provincia di Lodi, Alzano Lombardo, Bergamo, e Vo' Euganeo, di Padova, sono stati scoperti nello stesso periodo, tra il 20 e il 23 febbraio. Eppure, mentre la Lombardia oggi conta 46mila casi positivi e quasi 8mila morti, il Veneto 10mila contagiati e 532 vittime. In sintesi: la risposta del Veneto, fatta di zone rosse tempestive, tamponi a tutti i casi sospetti ma anche maggiore sanità sul territorio si è rivelata migliore.

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In Lombardia avere concentrato tutto sugli ospedali, in cui si è moltiplicato il contagio e non avere avuto il coraggio di chiudere tutto subito ad Alzano e Nembro, in provincia di Bergamo, si è rivelato - oggettivamente, al di là dello sforzo enorme di medici e infermieri ma anche di chi in buona fede era ed è nei centri decisionali - fallimentare. Non solo: anche il raffronto con l'Emilia-Romagna mostra come la risposta della Lombardia non sia stata efficace. Se è vero che Vo' Euganeo era un piccolo paese di 4.000 abitanti in cui un intervento tempestivo ha fermato sul nascere la corsa sfrenata del contagio, la provincia di Piacenza è densamente popolata e non ha soluzione di continuità con Codogno.
LA RISPOSTA
L'Emilia-Romagna ha pagato un prezzo altissimo, a partire da Piacenza e a scendere nelle altre province vicine, però ha saputo rispondere in modo più efficace. «Con grandi difficoltà - dice l'assessore alla Sanità dell'Emilia-Romagna, Raffaele Donini - però utilizzando una politica dei vasi comunicanti siamo riusciti a reggere per quanto riguarda i posti di terapia intensiva». In pratica, quando finivano i letti a Piacenza, si portavano i pazienti a Parma e poi a scendere fino a Bologna, dove per fortuna il capoluogo regionale ha retto, i positivi non sono aumentati in modo esponenziale. C'è stato maggiore decisionismo sulle zone rosse: a Medicina, nell'Imolese, c'era un focolaio che avrebbe potuto diffondersi a Bologna, immediatamente è stata chiusa e ieri, visto che la situazione è migliorata, si ipotizzato la riapertura. Nell'altro grande focolaio, esattamente nel lato opposto della regione, nel Riminese, prima ancora degli interventi del governo, è stata istituita una severa zona rossa, con i posti di blocco ai confini con le Marche e le auto della polizia locale che passano per le strade di Rimini e con gli altoparlanti dicono di non uscire. In questo modo, la città di Fellini ha limitato i danni, non è diventata un'altra Bergamo. Inoltre, anche l'Emilia-Romagna ha giocato la carta di una sanità e di un'assistenza, specialmente per i più anziani, maggiormente sul territorio, meno dipendente da case di riposo, Rsa e ricoveri. Sia chiaro: è una grande tragedia, soprattutto in Emilia, ci sono stati 1.811 morti, ma c'è un numero che spiega come il collasso è stato evitato grazie a una sanità meno dipendente dagli ospedali. Attualmente in Emilia-Romagna i positivi sono 11.859, ma la grande maggioranza è a casa, il 65 per cento. In Lombardia quella percentuale è del 49 per cento, è molto più bassa e questo ha causato non solo il collasso degli ospedali, ma ha anche contribuito a moltiplicare, nella prima fase, il contagio in corsia.
TORINO
C'è un'altra regione in cui ora c'è allarme rosso: il Piemonte. Anche se l'epidemia è partita prima in Veneto, ora in Piemonte ci sono più deceduti (983 rispetto a 532 e solo ieri ne sono stati contati un centinaio) e più positivi (8.799 rispetto a 8.578). Non solo: in Piemonte ci sono molti più pazienti gravi perfino rispetto all'Emilia-Romagna, che però ha affrontato un'epidemia più massiccia: sono 451 (rispetto ai 366 emiliano-romagnoli e ai 345 veneti), nessuna regione ne ha tanti a parte la Lombardia. Cosa non ha funzionato in Piemonte? Certo, ha pagato i rapporti stretti con la vicina Lombardia, ma sicuramente non c'è stata una ricerca dei positivi come in Veneto. I numeri dei tamponi: Veneto 120mila, Piemonte 32mila. La scelta di eseguire pochi test a Torino e nelle altre province si è rivelata non lungimirante. Inoltre, in Piemonte gli ospedali sono andati rapidamente in affanno e anche la sanità sul territorio non è stata efficace. E qui si torna al caso Lombardia, su cui ieri il governatore Attilio Fontana ha detto: «Abbiamo ricoverato quelli che non potevano farne a meno, quelli che dovevano andare in rianimazione o in semi-rianimazione. O li lasciavamo morire o li dovevamo ricoverare, non c'erano alternative». «In Lombardia c'è stato anche il fattore sfortuna, il contagio è entrato negli ospedali cogliendo tutti di sorpresa» concede un esperto di politiche sanitarie. La Lombardia oggi per Covid-19 ha un tasso di letalità al 17 per cento, è un caso quasi unico al mondo.
Mauro Evangelisti
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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