Coronavirus, la Lombardia vuole riaprire tutto il 4 maggio. Il governo: «È un errore». Fontana: «Lavorare su 7 giorni»

Coronavirus, la Lombardia vuole riaprire tutto il 4 maggio. Il governo: «È un errore». Fontana: «Lavorare su 7 giorni»
di Mario Ajello
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Giovedì 16 Aprile 2020, 06:34 - Ultimo aggiornamento: 13:40

Un po' dissimulano, ma a Palazzo Chigi l'hanno presa male assai, e non possono bloccarla, la richiesta della Lombardia di riaprire tutto e subito o quasi: il 4 maggio. Il piano è quello di riaprire in orario scaglionato uffici e aziende e, successivamente, scuole e università. Un esempio della nuova normalità saranno le aperture delle attività scaglionate e sull'arco di tutta la settimana per evitare il sovraffollamento dei mezzi pubblici. Si può fare? Si farà. Il governo mastica amaro ma è troppo debole per dire di no. Certo, ci sarà l'obbligo delle mascherine. Il divieto di avvicinarsi oltre la distanza di sicurezza di un metro e mezzo, e la garanzia che il nuovo ospedale della vecchia Fiera, quello allestito da Guido Bertolaso, provvederà per tutti in caso di bisogno. Ciò non toglie lo stupore. E sorprendono anche le parole del governatore Attilio Fontana: «La riapertura è la via lombarda alla libertà». La richiesta di riapertura contrasta però con alcune evidenze. La prima è che gli scienziati sconsigliano di farla o dicono che occorre una cautela enorme nel farla. Lo stesso Fontana propone di «scaglionare il lavoro magari su 7 giorni anziché su 5, con orari di inizio diversi per evitare l'utilizzo eccessivo dei mezzi pubblici in determinate fasce».

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L'ITER
Visto che la Lombardia resta l'epicentro della pandemia in Italia. I nuovi contagiati sono 558, le vittime ieri sono salite a 235 in più, per un totale di oltre 11 mila, sempre al di sopra del 50 per cento dei morti a livello nazionale. Per non dire dell'inchiesta sui morti al Pio Albergo Trivulzio e negli altri ospizi e della Guardia di finanza che ieri ha perquisito il Pirellone. Nel disastro, la Lombardia vuole il rilancio. Fontana lo descrive così: con le «quattro D». Ovvero «Distanza (almeno un metro di sicurezza tra le persone); Dispositivi (obbligo di utilizzare le protezione per tutti); Digitalizzazione (smart working obbligatorio per tutti coloro che possono); Diagnosi (test sierologici, grazie alla ricerca del San Matteo di Pavia)». Il Pd è infuriato. M5S anche. Dice il milanese viceministro Buffagni: «Questa decisione è un sbaglio e non si capisce su quali basi scientifiche è stata presa». Matteo Salvini plaude: «Dalla Lombardia un messaggio di speranza».

E dal Veneto il governatore Zaia - che comunque non ha chiesto a Palazzo Chigi la riapertura ma l'ha sta praticando di fatto perché oltre il 50 per cento delle aziende lavorano con l'assenso dei prefetti - osserva: «Chi è pronto è giusto che riparta, serve ovviamente gradualità a seconda dei territori». In serata la frenata di Fontana: Buffagni «ha male interpretato quello che diciamo, noi non ci permettiamo di parlare di attività produttive, che sono competenza del Governo centrale, sottratta a ogni nostra possibile valutazione. Noi parliamo di graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il Governo».
D'altra parte Ranieri Guerra dell'Oms definisce la pandemia in corso «un massacro». E chiede alla Lombardia «cautela» nelle riaperture. Questa regione, così spiega il rappresentante dell'Oms, «è pilota di quanto accadrà nelle altre regioni, e dovrà essere estremamente attenta nel valutare i rischi per i lavoratori e per i cittadini».

RABBIA E STUPORE
Lo stesso discorso vale per il Piemonte. Qui si va verso l'obbligo delle mascherine per la ripartenza. «Prima di renderle obbligatorie era fondamentale poterle garantire a tutti, ancor più in vista della fase di ripartenza», afferma il governatore forzista Alberto Cirio commentando l'acquisto da parte della Regione di 5 milioni di mascherine lavabili che nelle prossime settimane verranno distribuite a tutti i piemontesi. «Insieme a Poste italiane e alle associazioni che rappresentano gli enti locali stiamo definendo le modalità migliori».
Da Roma, in un misto di stupore e di impotenza, si osserva il fai da te delle regioni del Nord e da Palazzo Chigi lo si ricollega a una manovra politica per depotenziare un governo già piuttosto indebolito nella gestione della fase due. Si cerca di non esacerbare il conflitto politico e geopolitico ma si mastica molto amato: «Il rischio è che si vanifichino tutti gli sforzi fatti per liberarsi dal contagio». Ma il virus del conflitto tra partiti, come si sa, è endemico più del Covid 19.

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