Covid, Locatelli: «I numeri della Lombardia? Il virus è stato scoperto tardi»

Franco Locatelli
Franco Locatelli
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 17 Giugno 2020, 00:50 - Ultimo aggiornamento: 13:41

Per la Lombardia servirà più tempo, perché il virus ha circolato in modo più massiccio, sicuramente da diverse settimane prima della scoperta del paziente di Codogno. E se ci sarà una seconda ondata, sapremo farci trovare pronti. L’antinfiammatorio che ha come principio attivo il desametasone steroideo (un farmaco per il quale c’è il via libera dal governo britannico), secondo una ricerca di Oxford ha dato buoni risultati sui casi più gravi, «sarà un’arma in più». Il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico, ripete: l’importante ora è non compromettere i risultati che il comportamento ammirevole degli italiani ci ha consentito di raggiungere.

Si aspettava una flessione dei nuovi casi più rapida?
«Gli ultimi dati indubitabilmente vanno nella direzione auspicata: una continua flessione della curva epidemica. La maggior parte delle regioni ha un numero di nuovi casi sotto a dieci, evidentemente le riaperture non hanno portato fuori controllo la diffusione della contagiosità. Questo è importante, deve essere una incentivazione a mantenere comportamenti responsabili. Le tendenze di declino delle curve epidemiche sono sempre meno ripide di quelle delle curve di ascesa. Non sono delle curve gaussiane, il ramo ascendente è sempre più ripido di quello discendente».

In Lombardia però sta avvenendo qualcosa di inspiegabile: anche gli ultimi dati parlano di 143 nuovi casi, ormai quasi il 62 per cento di chi è positivo in Italia risiede in quella regione. Come è possibile?
«Me lo spiego in due modi: la Lombardia è la regione in cui il virus ha avuto la maggiore diffusione, ma è anche un territorio con una densità di popolazione marcatamente elevata. Un italiano su sei abita in Lombardia. E tra i nuovi positivi molti non sono sintomatici, ma soggetti che sono risultati positivi al test sierologico e per questo sottoposti al tampone. Mettendo insieme questi elementi, si spiega il dato della Lombardia, che ha comunque una riduzione dei casi; è chiaro che dove c’è stata maggiore circolazione, servirà più tempo, ci auspichiamo una progressiva riduzione del numero dei casi».

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Gli spostamenti per le vacanze non rischiano di far viaggiare il virus dalla Lombardia in altre regioni?
«Non credo. I numeri sono bassi, in Lombardia oggi ci sono 143 nuovi casi positivi, la flessione prosegue. Lunedì la percentuale di positivi sui tamponi effettuati era del 3,9 per cento, oggi siamo al 2».

I numeri della Lombardia fanno pensare che il virus abbia cominciato a circolare molto prima del 20 febbraio.
«Difficile dirlo, sicuramente almeno da gennaio, ma sono valutazioni fatte a posteriori».

Continua a diminuire il numero dei ricoverati. Significa che il virus è meno insidioso?
«Vi è una correlazione tra il carico virale e la sintomatologia. Diminuendo il numero degli infetti, usando le mascherine, mantenendo le distanze, il carico virale è minore e questo spiega perché i sintomi tra i nuovi positivi siano meno gravi. Inoltre, si intercettano prima gli infetti, si è imparato a gestirli, questo spiega perché fortunatamente si vedono malati meno gravi. Però, sottolineiamolo: non c’è nessuna evidenza che il virus sia mutato e abbia una minore patogenicità».

Ci deve preoccupare una seconda ondata in autunno-inverno?
«Sono i mesi in cui circolano di più i virus respiratori. Però dire se ci sarà una seconda ondata e quanto sarà importante è una predizione da indovini, non una previsione medico-scientifica. Se mai ci sarà, non credo che avrà minimamente l’impatto che abbiamo vissuto tra febbraio e marzo».

Quanto è importante la ricerca sul farmaco di cui si sta parlando nel Regno Unito?
«Sono stati resi disponibili i risultati di uno studio che documentano come un tipo particolare di cortisonico, il desametasone, abbia avuto un impatto importante sulla riduzione della mortalità, del 35 per cento. Conferma che il danno polmonare è connotato da una iper infiammazione. C’è una sorta di incendio che va spento subito. E questo farmaco ci può aiutare molto. Un’altra indicazione su come approcciare meglio questi pazienti, in attesa dei nuovi anticorpi monoclonali e, a inizio del prossimo anno, del vaccino».
 

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