Coronavirus, medici e infermieri lanciano l'allarme nelle corsie: «Strutture carenti e numeri insufficienti»

Coronavirus, medici e infermieri lanciano l'allarme nelle corsie: «Strutture carenti e numeri insufficienti»
Coronavirus, medici e infermieri lanciano l'allarme nelle corsie: «Strutture carenti e numeri insufficienti»
di Graziella Melina
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Martedì 25 Febbraio 2020, 08:48

L'epidemia da nuovo coronavirus rischia di far saltare l'equilibrio, già precario, del sistema sanitario nazionale. Non è affatto una novità che la carenza di medici specialisti nei reparti e nei Pronto soccorso ha creato finora non pochi problemi ai pazienti, alle prese con interminabili liste di attesa, e agli stessi operatori sanitari, sovraccarichi di lavoro. Ora la situazione rischia di esplodere. Se l'epidemia dovesse diffondersi in diverse Regioni, avverte Carlo Palermo, segretario nazionale dell'Anaao Assomed, l'associazione dei medici dirigenti, rischieremmo di andare in sofferenza.

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CRITICITÀ

I casi di contagio accertati continuano infatti a crescere. Aumenta quindi la necessità di ricoveri, ma anche di cure speciali nelle terapie intensive, per i casi gravi, per le persone cioè affette da polmonite interstiziale. E ovviamente serviranno sempre più medici che si prendano cura di questi nuovi pazienti. Ma i numeri su cui può contare il Servizio sanitario nazionale non sono affatto tranquillizzanti. «Siamo di fronte ad una condizione di carenza di posti letto - ricorda Palermo -. Negli ultimi anni ne sono stati tagliati circa 70mila. D'altro lato c'è carenza di personale sanitario: rispetto a 10 anni fa ne mancano 50mila: circa 10mila medici e 40mila tra infermieri e operatori sanitari. Rispetto alla media europea che calcola 5 posti letto per mille abitanti, in Italia noi ne abbiamo circa 3 per mille abitanti. Siamo in una condizione di difficoltà a garantire l'ordinario attuale».

Figurarsi dunque dover stare dietro a migliaia di casi di possibili contagi, inevitabili se non si riuscisse a fermare l'epidemia. A preoccupare i medici ospedalieri è poi anche la gestione dei percorsi assistenziali. È del tutto evidente che per evitare la diffusione del virus occorrerebbe creare degli spazi dedicati e isolati rispetto agli altri pazienti. Si dovrebbe poi poter disporre di accessi separati al Pronto soccorso. Ma in realtà non tutte le strutture sanitarie sono in grado di farlo.

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STRUMENTI
I medici, intanto, provano a far fronte all'emergenza, senza risparmiarsi. E, spesso, si ritrovano a dover sopperire da soli alla carenza persino di mascherine protettive. «Non è ammissibile, in particolare - rimarca Palermo - la mancanza di idonei dispositivi di protezione, adducendo un esaurimento scorte da industria manufatturiera, o di una strutturazione di triage pre-ospedaliero, con ambulanze dedicate e spazi idonei distinti e separati dai Pronto Soccorso. È necessario contrastare il fenomeno di accesso spontaneo da parte di pazienti con sintomi respiratori per prevenire l'ovvio pericolo di diffusione del contagio in ambienti sovraffollati. Un solo malato ha fatto chiudere un ospedale ed ha contagiato cinque tra medici ed infermieri».
La misura, dunque, sembra colma. E i medici non ci stanno a doversi prendere cura di un numero indefinito di nuovi pazienti. Senza contare tra l'altro che servirebbero subito posti letto in più, laboratori analisi e di virologia che siano aperti giorni e notte. Ma sarebbe in ogni caso una gestione destinata a fallire senza adeguate risorse aggiuntive di personale, «sia perché il tempo richiesto a trattare un caso sospetto potrebbe andare a scapito della gestione ordinaria, con code e criticità pericolose, sia perché è utile ridurre l'attesa per l'esito dei tamponi».

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L'APPELLO
L'appello alle istituzioni è dunque chiaro: «Regioni ed aziende non pensino di scaricare sulle spalle dei soli medici ospedalieri il peso di una organizzazione emergenziale alla quale devono partecipare tutti i settori della medicina pubblica». L'evento epidemico dimostra, «se ce ne fosse ancora bisogno, che solo un Servizio sanitario nazionale può essere la risposta valida alla tutela della salute dell'intera popolazione».
 

 
 

 

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