Coronavirus, Bocelli a Pasqua nel Duomo: «Il mondo ci ha avvisati, impariamo la lezione»

Coronavirus, Bocelli a Pasqua nel Duomo: «Il mondo ci ha avvisati, impariamo la lezione»
di Simona Antonucci
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Mercoledì 8 Aprile 2020, 08:17 - Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 19:54

«La musica è un linguaggio universale, è uno strumento potente, una delle voci predilette dell'anima. Può educarci alla bellezza, esprimere pace e fratellanza, aprirci cuore e mente... Aiutarci a superare le difficoltà». Andrea Bocelli, tenore da 90 milioni di dischi, icona globale della musica, la domenica di Pasqua si esibirà da solo nel Duomo di Milano. Il concerto raggiungerà tutti i Paesi del mondo in diretta streaming sul canale YouTube del tenore (https://bit.ly/2wRER5M), dalle ore 19. Per l'evento, promosso dal Comune di Milano e dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, prodotto da Sugar Music e Universal Music Group, Bocelli, che partecipa in forma gratuita, sarà accompagnato da Emanuele Vianelli, organista titolare della Cattedrale.

Coronavirus, Bocelli canterà la sera di Pasqua nel Duomo di Milano deserto: «Credo nella forza di pregare insieme»

Quali brani ha scelto per questa occasione, dolorosa e significativa? 
«Credo che la ricorrenza della Santa Pasqua di per sé sia espressione della vittoria sul dolore, sia una proposta di senso più alta che ci è stata concessa: è la festa della vita che vince, anche quando – per usare un’espressione biblica – il mondo si propone come una “valle di lacrime” e la nostra mente, troppo limitata per comprenderne la logica, rischia di sentirsi smarrita. Proporrò alcune pagine sacre che amo particolarmente, dal Panis Angelicus di César Franck all’Ave Maria di Charles Gounod. E poi Rossini, Mascagni... Naturalmente non sarà un concerto, quanto invece un’occasione per pregare insieme, attraverso la musica».

Lei sarà solo in un luogo di preghiera, il Duomo, il giorno di Pasqua. Come pensa di creare un ponte verso tante solitudini, in tutto il mondo? 
«Non ho bisogno di crearlo io, quel ponte. È la chiesa stessa, poiché dimora del Signore, a esprimere quel filo che ci affratella e che ci interconnette... ben più del web! Il duomo sarà vuoto ma la solitudione sarà solo apparente. La distanza fisica, in questo caso, è dettata da un atto d’amore, dalla volontà di aver cura gli uni degli altri: un gesto che esteriormente separa ma che interiormente unisce ancora di più».

Il Papa ha pregato da solo. Che cosa ha provato? 
«Credo che qualunque parola rischi di sminuire la potenza e l’emozione di quel momento, di quel gesto che è già nella storia. Duemila anni di cammino, m’è parso siano stati riassunti nei passi solitari di papa Francesco: spogliato di qualunque fasto esornativo, il rito ha espresso un figlio che si rivolge al padre celeste, un uomo anziano e fragile che prende su di sé il peso inaudito dell’umanità intera. Un’umanità che tralascia per un momento quella vanità, quella presunzione che troppo spesso ci spinge a mettere “io” al posto di “Dio”. Un’umanità dolente, conscia dei propri limiti, che congiunge le mani in direzione del Padre celeste. Ho provato affetto e ammirazione sconfinata per papa Bergoglio, quest’uomo del bene, ho pensato alla sua forza dirompente e alla benedizione che rappresenta per tutti noi e per la Chiesa del nuovo millennio». 

Un concerto dedicato alla speranza. Lei che cosa spera? 
​ «Il mondo ci ha in qualche modo avvisati. Spero che sapremo imparare la lezione, facendone tesoro, cogliendo questa preziosa opportunità di ripartenza, per cambiare il nostro atteggiamento nei confronti della vita, mettendo in campo una nuova gerarchia di valori. Valori nuovi ma a ben pensarci antichissimi, gli stessi che personalmente ritrovo nel Vangelo».

 Lei crede che questa apocalisse sia di un qualche insegnamento? 
«Mi torna alla mente una vecchia, bellissima canzone interpretata da Domenico Modugno: “Meraviglioso”... Ecco, quell’angelo vestito da passante ricorda con struggente semplicità, nei versi del brano, la bellezza del mondo. E la vera bellezza è sempre connaturata alla bontà. Sono fiducioso, credo che sia possibile, anzi che sia forse già in atto, una rivoluzione interiore che possa portare a prendere sempre più le distanze da quel sentimento – nemico della ragione quanto della fede – che i greci antichi chiamavano Hýbris. E cioè l’orgoglio, la tracotanza, la superbia. Il virus ci ha ricordato che si attinge tutti alla vita come a un grande banchetto, e nella vita al pari di un banchetto, si sta bene se si sta bene tutti, se c’è il minimo indispensabile per tutti. E tutti possiamo fare qualcosa, ciascuno secondo le proprie possibilità, perché ciò accada. In altro caso, la festa è destinata a fallire».

Qual è il suo impegno in questi giorni con la Fondazione che porta il suo nome? 
«Cerchiamo anche noi di fare qualcosa per l’emergenza, commisuratamente alle nostre forze. ABF ha realizzato una campagna di raccolta fondi, ancora in atto, sulla piattaforma “Gofundme”, in favore del Covid Hospital di Camerino e per sostenere ulteriori ospedali e reparti dedicati alla cura del Covid-19. Ne approfitto per ringraziare i donatori che, da ogni parte del mondo, ci stanno supportando con generosità».

Ha saputo che sono tornati i cigni a Venezia, il mare blu a Napoli: secondo lei, i Governi, nel mondo, terranno conto di quelle immagini? 
«Me lo auguro. Consideriamo però che i governi sono nella maggior parte dei casi lo specchio impietoso di ciò che siamo. Se ciascuno di noi non si sforzerà di operare un profondo mutamento interiore verso la moralità, verso un diverso rispetto per quella terra della quale siamo rumorosi, indisciplinati (e talvolta incivili) inquilini, sarà ben difficile che l'esempio ci venga da chi oggi costituisce il campione di ciò che noi siamo. Non demandiamo ad altri ciò che noi per primi possiamo fare, anche nei piccoli gesti del nostro quotidiano».

La musica è stata, ed è ancora in questi giorni di isolamento, il linguaggio della solidarietà. Perché secondo lei? 
«La musica può infondendere fiducia e positività. Era già chiaro nell’antichità, tanto che Catone Uticense raccomandava che i militari non ascoltassero musica, proprio perché ciò li avrebbe resi inadatti alla guerra...».

Dopo questa overdose di social sarà più difficile riportare gli spettatori in sala? 
«No, non credo. La tecnologia può essere sempre un supporto prezioso, e lo sta dimostrando in questi momenti complessi. Internet è uno strumento, e come tale è straordinariamente prezioso o dannoso, secondo l’uso che ne facciamo. Lo schermo di un computer oggi ci permette di abbracciare virtualmente i nostri cari lontani, domani ci farà meglio comprendere la meraviglia e la forza e l’energia di una sala gremita. Sarà ancora più bello, poter accogliere la stessa porzione di mondo che entra in noi e che noi restituiamo e condividiamo, attraverso il respiro».

I teatri d’opera e le sale da concerto saranno gli ultimi a riaprire. Come immagina gli step intermedi: bisognerà adattare gli spettacoli al distanziamento sociale? 
«Temo di non essere l’interlocutore più adatto per valutare quali siano le migliori modalità per rendere possibili gli spettacoli dal vivo e parimenti garantire la sicurezza degli spettatori. So però che ne usciremo, sono molto ottimista. La storia ci insegna che scogli ben peggiori sono stati superati, talvolta con sorprendente rapidità».

Quali suoi progetti sono al momento interrotti? 
«Molti progetti in agenda hanno respiro pluriennale, dunque sono slegati dall’emergenza di queste settimane. Però la mia attività concertistica, come quella dei miei colleghi, al momento dipende dalle disposizioni governative prese, in Italia e all’estero, per tutelare la salute pubblica. Quel contatto diretto col pubblico, quel rapporto “uno ad uno”, in teatro o in un’arena, che abitualmente si istaura, devo dire che mi manca molto... Motivo in più per continuare a studiare, ad esercitare la voce, per essere pronto, non appena sarà possibile».

La Pasqua celebra la Rinascita: che cosa, nella Rinascita, non possiamo dimenticare? 
«Forse, su tutto, quella “prossimità” di cui parla papa Francesco: riconosciamo, nel senso “conosciamo nuovamente”, mettiamo in discussione la nostra consueta, pericolosa, malsana distrazione e accorgiamoci di chi ci è accanto.

Impariamo a vivere il privilegio del convivere, alleniamoci a comprendere che il bene non è tale se non condiviso. Torniamo a saper leggere quella resurrezione che in realtà è scritta ovunque, che si celebra ogni volta che il nostro petto s’allarga in un respiro».

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