di Alessandro Orsini
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Venerdì 22 Maggio 2020, 00:01
Il Coronavirus (con annessa crisi economica) e la Libia sono le due questioni più importanti della vita politica italiana. La Libia riguarda la politica estera e il virus la politica interna. Comprensibilmente oscurata dall’emergenza sanitaria, la questione nordafricana ha continuato ad evolversi però nel silenzio generale favorendo azioni e manovre nell’ombra o quantomeno al riparo degli sguardi dell’opinione pubblica. 

Fare il punto della situazione impone un breve riepilogo delle “puntate precedenti” di questo dramma geopolitico. In Libia ci sono due governi che si combattono da anni. Il governo di Tripoli è appoggiato dall’Italia e il governo di Tobruk è sostenuto da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Prossima a cadere sotto assedio, Tripoli ha chiesto aiuto militare a Conte, che ha rifiutato per ragioni costituzionali: l’Italia non può utilizzare la guerra per dirimere le controversie internazionali. E così Tripoli ha chiesto aiuto a Erdogan, che ha accettato. 
Nel volgere di poche settimane, la Turchia, che ha il secondo esercito più grande della Nato, ha ribaltato i rapporti di forza. L’esercito di Tobruk ha subito una serie di gravi rovesci e corre voce che il suo generale, Khalifa Haftar, possa essere sostituito.

Mentre accadeva tutto questo, l’Italia era paralizzata dal virus e il governo Conte non ha potuto investire energie sufficienti in Libia, con il risultato tangibile che i suoi interessi sono stati difesi dalla Turchia. Si aggiunga che l’Italia ha una coraggiosissima ambasciata aperta a Tripoli e i sistemi di difesa anti-aerei della Turchia hanno finito per proteggere anche il nostro ambasciatore, che più volte ha sentito sibilare i missili di Haftar accanto alla finestra. L’ultima volta è accaduto l’8 maggio 2020, mentre gli italiani erano chiusi in casa. In quell’attacco di Haftar, sono morti cinque civili libici.

In questo momento, la situazione continua a essere incerta. Non è possibile fare previsioni sul futuro, ma possiamo dire con certezza che Haftar è debole e il suo attacco contro Tripoli dipende dalle decisioni dei Paesi stranieri da cui è appoggiato. Detto più chiaramente, per capire ciò che accadrà in Libia, occorre guardare soprattutto fuori dalla Libia. Ad esempio, potrebbe essere utile chiedere alla Germania che cosa intenda fare. La sua posizione, mentre gli italiani erano ostaggio del virus, è diventata opaca e il governo Conte dovrebbe forse chiedere chiarimenti oppure potrebbe chiederli per il tramite del nuovo capo dei servizi segreti esteri, il generale Gianni Caravelli, che ha appena sostituito il generale Luciano Carta alla guida dell’Aise.

In una società libera, è sempre una grande vergogna lanciare accuse infondate, ma pare proprio che, tra il 20 gennaio e il 3 maggio 2020, la Germania abbia deciso di vendere armi per 308,2 milioni di euro all’Egitto e per 15,1 milioni di euro agli Emirati Arabi Uniti. La notizia, diventata nota grazie a un’interrogazione parlamentare del partito Die Linke (la sinistra), è stata rilanciata da Deutsche Welle e dall’agenzia di stampa DPA, che hanno preso visione di un documento del ministero dell’Economia tedesco con le voci di spesa militari. Queste fonti di stampa hanno fatto notare che la Germania vende armi agli amici di Haftar, che poi le girano al coriaceo generale che assedia Tripoli dal 4 aprile 2019, dove c’è un ambasciatore italiano, Eni e molto altro.

La politica internazionale è semplice da capire nelle sue dinamiche elementari: gli Stati Uniti hanno liquefatto il generale dell’Iran Soleimani perché (forse) avrebbe potuto mettere in pericolo la vita dell’ambasciatore americano in Iraq. L’Italia non deve fare la guerra con nessuno, sempre viva la pace, ma è di vitale importanza che gli italiani abbiano una visione chiara dei propri interessi nazionali, di come si difendono e di chi li difende. Non vorremmo mai dire che la Germania sostiene indirettamente Tobruk però è lecito affermare che, se la Merkel vende armi a coloro che armano Haftar, non fa un favore a Conte.

Per concludere, la Libia è questione di grammi su una bilancia che può ancora sbilanciarsi facilmente da una parte o dall’altra. Ne consegue che l’Italia deve pesare con il bilancino ciò che gli altri Stati fanno in Libia. 
aorsini@luiss.it
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