Fase 2, Crisanti: «Riapertura a rischio, non siamo organizzati, il virus non si è indebolito»

Il virologo Crisanti: «Riapertura a rischio, non siamo organizzati, il virus non si è indebolito»
Il virologo Crisanti: «Riapertura a rischio, non siamo organizzati, il virus non si è indebolito»
di Mauro Evangelisti
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Lunedì 18 Maggio 2020, 02:36 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 08:03

Il professor Andrea Crisanti, virologo dell’Università di Padova, è l’esperto che ha suggerito al governatore del Veneto, Stefano Zaia, la linea da seguire nei giorni più difficili.

È preoccupato per le riaperture?
«L’epidemia è ancora in corso, sarebbe stato giusto aspettare di valutare meglio gli effetti delle prime riaperture del 4 maggio. Si è deciso di seguire le spinte economiche, non quelle medico-scientifiche. I politici hanno deciso che era un rischio accettabile, bene, lo rispettiamo. Però manca un sistema di controllo e tracciamento».

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In molti pensano che il virus si sia indebolito.
«Enorme sciocchezza: è un concetto che scientificamente non esiste. Si è ridotta la carica virale, anche perché stiamo usando maggiori precauzioni. A partire dalle mascherine, quelle che inizialmente ci dicevano di non usare. Si ricorda? Siamo noi quelli che abbiamo rimandato milioni di mascherine in Cina, in piena emergenza».
 



Anche esperti importanti dicono che il virus è più debole.
«Ma non scherziamo, un virus non si definisce in base alla forza, ma solo per virulenza e r0. Poi, certo il fatto che vi siano meno casi gravi è legato probabilmente alla carica infettiva. Se io parlo con lei un’ora le trasmetto una quantità di virus enorme. Se ho la mascherina, la quantità è molto minore e il suo sistema immunitario riesce a rispondere meglio».

Lei è pessimista su queste riaperture. Speriamo che per una volta abbia torto.
«Lo spero. Ma per non essere pessimisti bisogna organizzarsi. E non mi pare che stia avvenendo. Gli esempi migliori sono Nuova Zelanda e Australia, hanno fatto un lavorone. Non credo comunque che ci libereremo di questo virus. C’è un problema: questa epidemia non è in sincrono nel mondo. Ora si parla di ripresa dei voli il 3 giugno. Quali sono i protocolli di sicurezza? Se viene uno dal Brasile o dal Messico che facciamo, lo mettiamo in quarantena, gli facciamo il tampone? Verifichiamo che sia raggiungibile per tutto il tempo? Quelli sì dovrebbero avere la app».

Lei invece non crede alla validità della app Immuni.
«Faccia due calcoli. Se l’app la scarica il 60 per cento delle persone, sa quanti eventi identifica? Il 36 per cento. Perdiamo comunque il 64 per cento dei contatti. In Corea ha funzionato perché ce l’hanno tutti. Ancora: siccome i casi positivi reali di cui facciamo la diagnosi, il tampone, sono solo un quarto, vuole dire alla fine intercettiamo solo il 9 per cento. Pochissimo. Assumiamo invece che l’app funzioni: ci vengono segnalati 10mila casi al giorno, mettiamo in quarantena 150mila persone al giorno che hanno avuto un contatto? Se non fai i tamponi, è impraticabile. Sono sconfortato, su questi scenari non si ragiona. Serve il tampone a chiunque atterri in aeroporto e poi tracciamento».
 

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