Malato di Covid si sveglia dopo un mese in rianimazione: «Pensavo che fossero tutti morti». L'incubo di un 68enne

Si sveglia dopo un mese in rianimazione: «Pensavo che fossero tutti morti». L'incubo di un 68enne
Si sveglia dopo un mese in rianimazione: «Pensavo che fossero tutti morti». L'incubo di un 68enne
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Martedì 5 Maggio 2020, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 14:33

Claudio Massai, 68enne commerciante in pensione di Gignod, in provincia di Aosta, dopo diverse settimane in rianimazione si è svegliato all'ospedale Parini del capoluogo valdostano: il suo è stato un lungo e doloroso incubo, dal quale è riemerso grazie ad una videochiamata con i suoi familiari. Familiari che credeva morti: «La prima videochiamata mi ha ricollegato alla realtà e alla mia famiglia: mi ha ridato la voglia di lottare anche per loro», racconta. «Credevo che fossero morti e che fossi rimasto solo io in vita».

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Anche a causa di alcune complicazioni arrivate dopo il doppio tampone negativo, l'ex titolare di un negozio di autoricambi nel centro del capoluogo regionale è stato ricoverato nel nosocomio aostano per ben 44 giorni, dal 16 marzo al 29 aprile scorsi. «Avrei voluto morire, per me la vita era finita. Avrei voluto staccarmi dal sondino e dai tubi che mi collegavano ancora all'ossigeno. Stringevo forte le mani degli infermieri tanto da far loro male. Un atteggiamento di cui mi pento, ma che non dipendeva dalla mia volontà. Se sono qui è grazie a loro e ai medici».

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Tutto è iniziato il 13 marzo: «Era pomeriggio e passeggiavo con mia moglie. Lo facevamo spesso ma quella volta è stato diverso, dopo pochi passi mi sono accorto che mi mancava il fiato. Giunto a casa, oltre ad avere la tosse secca, mi è salita la febbre. Nei giorni successivi ho avvertito una perdita parziale del gusto e le condizioni generali sono peggiorate. Qui inizia a comparire il famoso 'saturimetro' e purtroppo segnala che la saturazione decresce giorno dopo giorno».

GLI INCUBI E LE ALLUCINAZIONI Seguono la chiamata al 112, il tampone positivo al coronavirus e il ricovero nel reparto Covid. «La situazione in ospedale è precipitata in pochi giorni. Dagli occhialini per ossigeno sono passato alla maschera, poi al casco, per finire in rianimazione intubato in coma farmacologico. Dopo dieci giorni mi hanno tracheotomizzato e lentamente risvegliato». Prima di «ricollegarsi alla realtà» ha vissuto momenti difficili. «Mi ricordo solo alcune voci che mi incoraggiavano dicendo 'Forza Claudio, ce la puoi fare, la tua famiglia ti aspetta a casa!'. E una preghiera recitata da un diacono e da una infermiera, che mi teneva la mano. Da quel momento ha avuto inizio un periodo tremendo di incubi e allucinazioni, in cui vedevo la testa staccata dal corpo, la telecamera appesa alla parete che veniva ad aggredirmi».

LA RIPRESA Dopo il 'risveglio' «le piccole conquiste quotidiane - spiega Claudio Massai - mi davano la forza per andare avanti: il poter stare seduti, il primo piede poggiato a terra, il ricominciare a mangiare e il farsi la doccia da soli».

L'aspetto più pesante? «La lontananza dalle persone care e il vivere senza la loro presenza in un momento così difficile. Non sono mai stato abituato a vivere in solitudine i dolori e le malattie». Con la fine del ricovero è iniziata una nuova fase: «Adesso sono a casa e mi sembra un sogno. Ogni giorno lo vivo come un dono. Sono di nuovo alle prese con il saturimetro, ma questa volta con un altro spirito, perché vedo piccoli miglioramenti quotidiani». 

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