Addio a Luis Sepúlveda, il potere dei sogni di uno scrittore militante

Addio a Luis Sepúlveda, il potere dei sogni di uno scrittore militante
Addio a Luis Sepúlveda, il potere dei sogni di uno scrittore militante
di Riccardo De Palo
5 Minuti di Lettura
Giovedì 16 Aprile 2020, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 10:51

Luis Sepúlveda era uno degli ultimi scrittori “impegnati”, un termine che gli dava «enorme fastidio», e che poteva sopportare soltanto se questo significava unire «creatività, sensibilità e intelligenza» tra le qualità di un autore. Un viaggio in Portogallo, dove aveva contratto il coronavirus, gli è stato fatale: è morto ad appena settant’anni, per le complicazioni dovute alla polmonite, dopo un mese di ricovero in terapia intensiva, in un ospedale di Oviedo, nelle Asturie, dove era stata posta in isolamento anche sua moglie, la poetessa Carmen Yanez.

LEGGI ANCHE>> Sepulveda, l'intervista del 2017 alla Fiera del Libro: «Trump sventola la bandiera dell'ignoranza»

Difficile immaginare un autore più “militante”, anche se la politica, per lui, era tutt’altro che un dogma; e spesso amava parlare per parabole, come nelle favole che lo hanno reso famoso al vasto pubblico, sempre con lo stesso ostinato obiettivo di far riflettere, di costringere a pensare. Che si trattasse della storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, o della mitica balena bianca, la cui voce torna ad affascinare un bambino che trova una conchiglia sulla spiagga, Sepúlveda aveva il pallino di dover insegnare a tutti i costi qualcosa, ai suoi lettori. Una volta ci disse che la favola, per lui, era «una maniera per condividere qualcosa con lettori giovanissimi, che presto diventeranno adulti e cittadini responsabili». Anche i suoi racconti per i più piccini parlavano, in fondo, di «valori umani imprescindibili».

Nato a Ovalle, in Cile, nel 1949, e cresciuto a Valparaiso, ebbe lo stesso destino di suo nonno, un anarchico andaluso costretto a fuggire dalla Spagna. Fu proprio quell’uomo, con il nome di battaglia di Ricardo Blanco, e uno zio paterno, ad educarlo alla lettura di Cervantes, di Salgari, di Melville, a instillargli il germe della ribellione. Molti anni più tardi, entrato nella guardia personale del presidente Salvador Allende, conobbe il carcere, e la tortura, nei giorni del colpo di stato del generale Pinochet. Nel 1977 andò in esilio, e viaggiò in molti Paesi del Sud America, a combattere per qualche nuovo ideale. A Quito, in Ecuador, si battè per i diritti dei popoli indigeni; in Nicaragua si unì ai guerriglieri rivoluzionari; visse in Germania, in Francia, lavorò come giornalista, si unì per cinque anni a un equipaggio di Greenpeace. Non trovava mai pace.

Rieti, finale del Premio letterario Luis Sepúlveda ospite d'eccezione al teatro Flavio Vespasiano

Il suo primo romanzo è ancora oggi uno dei più famosi, “Il vecchio che leggeva romanzi d'amore” (1989), ambientato in un paesino sperduto del continente sudamericano, dove l’anziano protagonista racconta la sua storia; il romanzo - da cui è stato tratto un film - deve molto all’esperienza dell’autore con i nativi. «La libertà - scrive Sepúlveda - è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla»: una frase che più di ogni altra basta a riassumere la sua scrittura coraggiosa.

Anche nei romanzi e nei racconti successivi, da “Il mondo alla fine del mondo” a “Le rose di Atacama”, da “Storie ribelli” a “Vivere per qualcosa”, la naturale lotta dell’uomo per qualcosa di utile, per i diritti di tutti, era sempre visibile, a volte sottotraccia, in filigrana, oppure in forma più manifesta, indifferibile.
 


A volte tornava a denunciare i pericoli che viveva la democrazia. Di recente, aveva detto che si tratta di un sistema «imperfetto», benché «migliorabile». «Quando vediamo come oggi il sistema democratico si sia trasformato in uno strumento per difendere i privilegi dei detentori del 99% della ricchezza nel mondo, dimenticando gli interessi della grande maggioranza, bene, questo sistema evidentemente è in pericolo».

In “Il potere dei sogni”, aveva ammesso che le sue storie «sono scritte da un uomo che sogna un mondo migliore, più giusto, più pulito e generoso», da un cileno «che sogna di veder realizzato in questo paese il sogno più bello, quello di sederci tutti con fiducia alla stessa tavola, senza la vergogna di sapere che gli assassini di coloro di cui sentiamo la mancanza non ricevono il giusto castigo».
 
 

I suoi compagni di strada non erano meno sognatori di lui. Aveva scritto “Vivere per qualcosa” con l’ex leader dell’Uruguay, José “Pepe” Mujica, ex guerrigliero dei Tupamaros che qualcuno ha definito, forse senza esagerare, “il presidente più onesto del mondo”.

Sepúlveda veniva spesso in Italia, ospite fisso di festival ed eventi letterari, come autore di punta di Guanda, il suo editore italiano.
L’amore era ricambiato: soltanto da noi, ha venduto oltre otto milioni di copie. Difficilmente i lettori troveranno una voce libera e ispirata quanto la sua.

© RIPRODUZIONE RISERVATA