Coronavirus, fabbriche chiuse e sindacati in allarme in tutta Italia. «Temiamo di non riaprire»

Coronavirus, fabbriche chiuse e sindacati in allarme in tutta Italia. «Temiamo di non riaprire»
Coronavirus, fabbriche chiuse e sindacati in allarme in tutta Italia. «Temiamo di non riaprire»
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Domenica 22 Marzo 2020, 20:21

Coronavirus, imprese e sindacati nel caos, senza avere risposte certe da dare né ai lavoratori né ai datori di lavoro. Né tantomeno al mondo dell'autotrasporto che fino all'ultimo, non sa se, facendo partire i camion con le merci, troverà o meno i cancelli delle fabbriche aperti. In attesa del Dpcm che chiude tutte le attività "non essenziali" a partire da domani, ma con tolleranza fino a mercoledì, le imprese, dalle piccole artigiane a Confindustria, hanno chiesto al governo un supplemento di riflessione per evitare che, nella fretta di trovare rimedi efficaci per contenere il Coronavirus, si rischi di «uccidere» il tessuto produttivo del Paese. Mentre i sindacati resterebbero preoccupati, al contrario, che una lista troppo ampia di attività aperte non risponda adeguatamente alla necessità di tutelare i dipendenti. 

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In una giornata segnata da più bozze e più liste in circolazione, le imprese, per voce del presidente di Confindsutria Vincenzo Boccia, hanno esplicitamente chiesto più tempo, almeno per riuscire a consegnare la merce già pronta in magazzino, per mandare al minimo gli impianti che non possono essere chiusi, per organizzare laddove si può lo smart working e per capire quali tutele garantire ai propri lavoratori. Una risposta che poi è arrivata con la previsione che si possano completare «le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo».

 

 

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Le aziende, aveva scritto in una lunga lettera a Conte Boccia, stanno «affrontando con responsabilità» questo passaggio drammatico ma bisogna soppesare bene gli interventi, non si può chiudere tutto: va bene individuare le attività strettamente necessarie ma le filiere, è il ragionamento degli industriali, sono strettamente interconnesse e il rischio è che nello stilare una lista per codici Ateco (cioè i numeri che identificano le varie attività nei rapporti con la pubblica amministrazione, a partire dall'Agenzia delle Entrate) vengano lasciate fuori fabbriche o società di servizi essenziali proprio per produrre beni alimentari o medico-sanitari.

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Questi settori sono tra quelli strategici esclusi dalla stretta, insieme al comparto dei trasporti, ma anche della filiera petrolifera o della plastica. Ma nel centinaio di voci iniziali erano spuntate anche i codici 24 e 25, cioè «metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo» che avevano messo in agitazione i sindacati perché, includerle, di fatto, avrebbe significato lasciare aperto «il 70% delle imprese metalmeccaniche».

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Molte industrie, soprattutto le più grandi, in realtà hanno già deciso in autonomia di chiudere i battenti o di ridurre al minimo le attività: da Fca, che ha fermato quasi tutti gli stabilimenti, all'ex Ilva gestita da ArcelorMittal che ha ridotto a 3.800 le presenze degli operai (ma essendo a ciclo continuo non si può permettere la chiusura e, proprio per questo motivo, risultano tra quelle esentate), fino a Luxottica che ha deciso di fermarsi già a partire da domani. Tra i nodi ancora da risolvere, osserva però la Cna, quella delle imprese che stanno avviando la riconversione per produrre mascherine e gli altri dispositivi di protezione che al momento scarseggiano sul mercato e che, al momento, non hanno quindi un codice Ateco.

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