Ilva, M5S spaccato. Ira di Di Maio con i pugliesi: «Ora basta o vi porto al voto»

M5S spaccato, ira di Di Maio. Lite al Mise con i pugliesi: «Ora basta o vi porto al voto»
M5S spaccato, ira di Di Maio. Lite al Mise con i pugliesi: «Ora basta o vi porto al voto»
di Simone Canettieri
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Venerdì 8 Novembre 2019, 01:00 - Ultimo aggiornamento: 17:48

«Allora, ora basta: se il gruppo si spacca sull’Ilva, ne prendo atto politicamente e si ritorna al voto. Io non vado avanti così. E non mi faccio mancare di rispetto in questo modo. E poi, tu, ma come ti permetti: su questo dossier, quando ero ministro dello Sviluppo economico, ho dato il massimo». Metà mattinata, via Veneto, primo piano del Mise, salone degli Arazzi: Luigi Di Maio nel bel mezzo della riunione sul futuro dell’acciaieria di Taranto perde le staffe. «Era paonazzo, mai visto così: una furia», raccontano i presenti a Il Messaggero.

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Il leader del M5S si scaglia contro il deputato tarantino Gianpaolo Cassese. Il quale gli ha appena ribadito che non voterà un decreto con dentro lo scudo penale e che il Movimento non ha avuto una linea coerente. Di Maio perde il controllo e abbandona il tavolo. Nella foga una sedia vola in aria e cade a terra. Chi c’è rimane di stucco. Sguardi attoniti. Quello che doveva essere il summit-chiave del M5S per trovare una sintesi politica sull’ex Ilva diventa la spia della crisi dei grillini che va oltre il futuro del principale polo siderurgico europeo.

La scena non passa inosservata. Nel salone ci sono il nuovo padrone di casa, Stefano Patuanelli; il ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà; il viceministro dello Sviluppo economico Stefano Buffagni; il sottosegretario a Palazzo Chigi, con delega alla Programmazione economica Mario Turco, che tra l’altro è tarantino. Sono stati convocati anche tutti i senatori (e i deputati) pugliesi. Attenzione: sono gli stessi che minacciarono di non votare la fiducia al governo se fosse rimasta l’immunità parlamentare per Arcelor Mittal nel dl crisi. Alla fine vinsero loro, come si sa. Barbara Lezzi non c’è di persona, ma interviene due volte in videochiamata. La delegazione governativa ripercorre tutto il travagliato iter della vicenda: dal governo gialloverde con Matteo Salvini a oggi con il Pd di Nicola Zingaretti. Di Maio, che ha curato la vertenza in prima persona da titolare del Mise, sottolinea che i «funzionari del ministero lavorarono giorno e notte a una soluzione». Un modo per prevenire le critiche che piano piano iniziano ad arrivare dai parlamentari tarantini. 

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LA TENSIONE
A Di Maio viene ricordato di aver tolto e poi rimesso lo scudo e che - soprattutto - non potrà ritornare. Il capo politico del M5S ha però un mandato chiaro: convincere i ribelli. Troncare e sopire qualsiasi contestazione che reputa «strumentale». I gruppi d’altronde sono divisi e spaesati. Un’ebollizione caotica: manca una linea politica, si va in ordine sparso. Alla Camera, dove da un mese non si riesce a eleggere il nuovo capogruppo, Francesco Silvestri, attuale reggente ammette: «Ci sono molte, troppe resistenze sullo scudo penale. E non solo al Senato, anche qui credo che passerebbe con molta difficoltà». Ecco perché nel M5S si pensa a un soccorso delle opposizioni quando il decreto approderà alle Camere.

Non a caso proprio Patuanelli durante la doppia informativa fa appello al senso di responsabilità, «in primis della mia formazione politica, ma anche a quella delle opposizioni». Giancarlo Giorgetti, navigato numero due della Lega, commenta in Transatlantico: «Ah, bene ci stanno chiedendo i nostri voti perché la maggioranza non ha i numeri». Di Maio invoca l’unità nazionale e si rivolge «ai sovranisti, troppo controversi». Passa Riccardo Molinari della Lega: «Ma Luigi lo sa che il giorno dopo vanno a casa?». 

Ecco il clima è questo. Meglio ritornare in Senato. La scena dell’«ira di Luigi» ha fatto il giro del salone Garibaldi: le urla, le minacce, la sedia che frulla in aria, lui che scende velocemente lo scalone a doppia rampa di quel ministero che conosce bene, inviperito con i suoi. A Palazzo Madama tira un’aria pessima: Elena Fattori è uscit dal M5S e potrebbe essere seguita da altri ribelli. Ne bastano sette per formare una componente nel gruppo misto che possa così essere fondamentale per la vita del governo. Chi non se ne va, lavora alla modifica dello Statuto del gruppo. Tra le opzioni: depotenziare Rousseau per rendere meno forte il vincolo dei parlamentari con la piattaforma. Una volta sarebbe stata un’eresia. In serata spunta, tra i busti, Davide Casaleggio. «Sta qui per placare gli animi». Un ritorno in campo di Beppe Grillo viene dato per scontato, oltre che essere auspicato dal Pd. 

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