di ​Alessandro Campi
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Mercoledì 30 Ottobre 2019, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 08:05
Quelle umbre sono state certamente elezioni locali (quanto alle motivazioni di voto prevalenti tra gli elettori), ma ciò non esclude che possano avere riflessi anche a livello nazionale. Bisogna però intendersi sulla natura e il significato di tali effetti.

La pesante sconfitta del progetto civico sostenuto da Pd e M5S mette a rischio il governo Conte bis? Si è detto, ma tra le due cose non c’è alcuna relazione. L’attuale maggioranza giallo-rossa è nata perché l’Europa non voleva più Salvini come interlocutore e per evitare che in caso di elezioni anticipate fosse la Lega, data come vincente da tutti i sondaggi, a indirizzare la scelta del futuro Capo dello Stato. Due ragioni politiche talmente vincolanti da rendere l’esperienza di questo governo pressoché blindata. Il che significa che per farlo cadere non basterà qualche scossone elettorale (e forse nemmeno i litigi tra i partiti che lo sostengono).

La pesante sconfitta del progetto civico sostenuto da Pd e M5S significa che è tramontata qualunque ipotesi di “alleanza organica” (Zingaretti dixit) tra queste due forze? Si è detto anche questo, ma si tratta di un’interpretazione affrettata ed impressionistica, ovvero di una reazione puramente emotiva (come quella espressa da Di Maio).
In realtà, Pd e M5S per essere minimamente competitivi ai prossimi appuntamenti elettorali (amministrativi e politici) saranno sempre più costretti a convergere intorno a un disegno politico comune e condiviso (senza che questo implichi necessariamente la nascita di un soggetto unitario, come apertamente auspicato da Grillo).

C’è infatti un vincolo di sistema col quale democratici e grillini, al di là del pessimo risultato ottenuto in Umbria, debbono ormai fare realisticamente i conti: la grande forza d’urto propagandistico-elettorale (e la ritrovata unità politica) del centrodestra a guida salviniana. Contro il quale, andando divisi, i due partiti rischiano di perdere a lungo.

Ma il fatto che si siano dedotte implicazioni errate e approssimative dal voto in Umbria, non vuol dire – come accennato – che le sue ricadute sia tutte e solo localistiche. L’importante è non aspettarsi conseguenze meccaniche e dirette, per di più immediate. Ciò che contano sono i segnali o le linee di tendenza che anche da un voto amministrativo possono venire.

Prendiamo ad esempio il centrodestra uscito largamente vincitore dall’appuntamento. Tutti si sono affrettati a definirlo a definitiva “trazione salviniana”: quasi a prefigurare il dilagare in Italia, ridottasi ormai al lumicino la componente moderata-berlusconiana, di una destra radicale o estrema. Allarme reale o denuncia strumentale di un pericolo fittizio? Guardando anche a come si è svolta la campagna elettorale, d’una correttezza esemplare in una fase in cui non si fa altro che denunciare la politica dell’odio, l’impressione è che in Umbria si sia materializzato non un movimento miliziano di massa, pronto a marciare nemmeno tanto metaforicamente su Roma, quanto un “blocco nazionale delle libertà” (una sigla già esistita alle origini della nostra storia repubblicana: era un partitino monarchico) composto da anime culturalmente e socialmente distinte ma politicamente ben integrate tra loro: il sovranismo a sfondo populista della Lega (capace di parlare sia al mondo produttivo del nord sia ai ceti popolari e marginalizzati dalla crisi economica), il conservatorismo sociale di Fratelli d’Italia (tradizionalmente vicino, vista la sua estrazione romanocentrica, al mondo del pubblico impiego e alle burocrazie corporative), il popolarismo liberale di Forza Italia (ancora il più legato al mondo delle professioni liberali d’estrazione urbana).

Naturalmente, parliamo di un processo lento, se non di un futuribile, ma quello che è accaduto nei mesi scorsi qualcosa sembra aver insegnato proprio a Salvini, che di quest’area è ormai il dominus. Il sovranismo declinato come anti-europeismo pregiudiziale non ha portato da nessuna parte se non all’isolamento internazionale del governo giallo-verde (men che meno è servito a difendere gli interessi nazionali dell’Italia). Le scelte ambigue in politica estera (a partire dai rapporti con la Russia putinista) si sono dimostrate a loro volta esiziali. In politica interna, gli ammiccamenti all’estrema destra quanti voti hanno fatto guadagnare e quanto invece hanno prodotto un danno d’immagine? Così come rischiava di diventare un boomerang, dopo aver fatto guadagnare consensi, la propaganda ossessiva sull’immigrazione: non si può essere solo il partito dell’allarme e della paura, specie se si hanno responsabilità di governo.

Il Salvini dell’ultimo mese – impegnato nella campagna per l’Umbria, nella manifestazione romana del 19 ottobre o nelle sue sempre numerose apparizioni pubbliche – sembra in effetti aver adottato una postura meno aggressiva anche sul piano del linguaggio rispetto al recente passato (le ruspe, la zingaraccia, i delinquenti da far marcire in galera et similia). È parso più rassicurante e propositivo. Ha giocato la carta della Lega come forza di governo, come grande partito popolare radicato nel territorio, abituato a risolvere i problemi dei cittadini. Ha smesso di insultare le burocrazie di Bruxelles e di evocare complotti universali contro di lui. Ma ha anche cambiato atteggiamento nei confronti dei suoi alleati: puntava a cannibalizzarli (a partire dal declinante Berlusconi) con l’idea di poter essere un giorno autosufficiente, ha scelto invece di rinnovare la storica alleanza di centrodestra a condizione ovviamente di esserne il leader riconosciuto (cosa che il Cavaliere alla fine si è rassegnato a fare, chiudendo così la strada a possibili convergenze con Renzi con l’obiettivo di creare l’ennesimo, e probabilmente fallimentare, partito moderato o centrista).

Da qui, dopo molti contrasti, il rinnovato rapporto di Salvini proprio con Berlusconi, che per il nuovo centrodestra, più che un padre nobile rispettato ma che nessuno ascolta, potrebbe invece divenire un attivissimo ed efficace propagandista all’estero, visto la rete di relazioni che ancora può vantare e non solo in Europa. Un terreno, quello dei rapporti internazionali, sul quale la Lega s’è dimostrata debolissima e sul quale Salvini ha consumato il suo fallimento più evidente.

Così come il rapporto di quest’ultimo con la Meloni in significativa crescita di consensi potrebbe evolvere, più che in termini di competizione diretta, seconda una divisione territoriale alla fine conveniente per entrambi: il centro-nord a conclamata dominanza leghista, il sud a partire da Roma più riserva elettorale per Fratelli d’Italia (che avendo intercettato in Umbria i voti grillini in libera uscita più di quanto non abbia fatto la Lega potrebbe ambire a ripetere la stessa operazione nel Meridione d’Italia).

Inutile nascondersi che Salvini non ha nulla del politico moderato: ha un fondo d’anarchismo caratteriale e d’impulsività che lo rende imprevedibile, poco incline ad assumere panni istituzionali e talvolta persino poco calcolatore a suo esclusivo danno (lo si è visto questa estate). Basti pensare a tutte le volte che per dare addosso alla sindaca di Roma Raggi finisce, mosso dallo spirito polemico, per dare involontariamente addosso alla città di Roma e ai romani: quasi che essersi dato un profilo da leader nazionale non lo abbia ancora guarito dagli atavismi ideologici della Lega secessionista in cui s’è formato. Ma un politico che, in virtù dei numeri che si ritrova, sembra aver scelto la strada dell’inclusione, di una relativa moderazione dei toni, della costruzione di una rete di consenso sociale senza la quale il consenso elettorale rischia di non bastare, certi errori o scivoloni non può più permetterseli.

Sarà che in Umbria non ci sono spiagge e che al mojito da quelle parti si preferiscono il sagrantino e il grechetto, ma certi eccessi verbali e comportamentali da liceale in vacanza effettivamente non si sono visti. Lenta e inevitabilmente tortuosa sembra iniziata una fase politica diversa, con Salvini impegnato in un progressivo riposizionamento politico e d’immagine, per quanto mosso da ragioni strumentali e di convenienza. Se è un cambiamento serio lo vedremo presto.
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