di Carlo Nordio
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Martedì 24 Settembre 2019, 00:05
Come spesso accade alla conclusione di accordi internazionali, non conta tanto ciò che i partecipanti hanno convenuto quanto la loro volontà di darvi esecuzione, e quando e come. Talvolta gli stessi contraenti sanno di cedere all’ipocrisia. A Yalta nel ‘45 tutti sapevano che Stalin si sarebbe mangiato le regioni ove fosse arrivata l’Armata Rossa, ma Roosevelt finse di non capire. Churchill, invece, lo capì benissimo, ma non poteva fare altrimenti. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Talvolta, tuttavia, vi è un seguito propizio. Quasi sempre si tratta di un compromesso, e magari di un compromesso accettabile. Ora noi non sappiamo bene quali siano i termini esatti dell’ “accordo” stipulato ieri a Malta sui migranti, e in fondo non ci interessa nemmeno conoscerli nei dettagli, perché poi ogni Stato li interpreta secondo le sue necessità e le sue convenienze. Ci interessa ribadire i due punti “concreti” sui quali si gioca la credibilità del nostro Paese e, in prospettiva, il futuro del governo.

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Il quale sbaglierebbe se pensasse di risolvere il problema in modo esclusivamente nominalistico, accontentandosi di dichiarazioni di intenti e di mera disponibilità di altri Paesi. I nodi, dunque, sono due. Primo. La distribuzione dei migranti, in attesa dellaloro definizione (di economici o di rifugiati), avverrà prima o dopo questo accertamento? In altre parole: Germania, Francia e gli altri Paesi si prenderanno la loro quota di spettanza entro le fatidiche quattro settimane dall’arrivo dei profughi, e procederanno per conto loro all’istruttoria, sollevando il Paese di approdo ( cioè l’Italia) da questo compito lungo e gravoso? Pare di sì, e in questo caso avremmo fatto un gran passo avanti, e dovremmo ringraziare il governo per la sua abilità ed efficienza.
Naturalmente resta l’incognita dell’Europa, e delle eventuali sanzioni nei confronti degli Stati refrattari o inadempienti. Le prossime quattro settimane saranno quindi decisive. Secondo. I rimpatri. Come si è detto varie volte, il provvedimento di espulsione è un atto puramente cartaceo e privo di conseguenze pratiche, perché la materiale apprensione dell’espulso e la sua riconsegna allo Stato di provenienza è dannatamente difficile: perché il suo Paese spesso non lo riconosce o non lo vuole, oppure perché il clandestino è irreperibile, o semplicemente perché, una volta individuato, commette un reato, il che gli consente di restare in Italia fino al giudizio definitivo. Finora questo aspetto è stato affrontato in modo ideologico e astratto, perché in realtà è quello più difficile da risolvere. Che faranno allora gli Stati, una volta accertate l’entrata e la permanenza di questi migranti senza titolo? Troveranno un modo di concordare una “adprehensio” europea e un rimpatrio distribuito e immediato, oppure si rimpalleranno le responsabilità rispedendo questi soggetti là dove sono entrati, come sta accuratamente facendo la Francia che ancora una volta ha bloccato Ventimiglia? Ecco, questi sono i due problemi. Sono problemi che richiedono non risposte, ma fatti. E nei prossimi giorni ne vedremo gli esiti. Tuttavia, ripetiamo, il governo commetterebbe un errore fatale se sottovalutasse l’attenzione con cui questa vicenda viene seguita. E non solo da Salvini, ma dalla stragrande maggioranza degli italiani.
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