Totti, Rosella Sensi: «Il mio Francesco trattato come fosse una figurina»

Rosella Sensi e Francesco Totti
Rosella Sensi e Francesco Totti
di Gianluca Lengua
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Martedì 18 Giugno 2019, 00:56 - Ultimo aggiornamento: 08:25
Rosella Sensi fa il suo ingresso al Coni in punta di piedi, quando Francesco Totti nel Salone d’Onore ha terminato la conferenza stampa. I due si lasciano andare a un lungo abbraccio, non serve parlare perché entrambi sanno cosa c’è nel cuore dell’altro. Un feeling mai scomparso anche dopo tutti questi anni, ma che non è mai sbocciato tra l’ex numero 10 e la proprietà americana.

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Se Rosella Sensi fosse stata presidente come avrebbe reagito alla conferenza di Totti?
«Credo che un mio giocatore non sarebbe mai arrivato a questo punto perché ci avrei parlato prima. Specialmente con un giocatore come Totti, sapendo il valore che ha Francesco per questa società e nel calcio mondiale».

Come si fa ad arrivare a una rottura del genere con una bandiera come Totti?
«Si è tirata troppo la corda. Bisogna conoscerlo e parlarci perché il suo aspetto un po’ sornione e bonario nasconde la sua determinazione. Quando dovevamo rinnovare il contratto, pur essendo circondato da personaggi competenti, era lui che aveva l’ultima parola. È determinatissimo nelle sue cose, non bisogna mai sottovalutare la sua volontà, competenza e determinazione. Andava tenuto in considerazione, senza trattarlo da gagliardetto o da figurina. È buono e tranquillo, ma il troppo aspettare e pazientare non ha portato a nessun esito, perché poi è arrivato al punto di rottura e non ha dato motivo di ritorno».
 


La “deromanizzazione” di cui ha parlato Totti dove porterà?
«Non è un’idea giusta e non so dove porterà perché a noi tifosi non è stata spiegata. In questo mondo del calcio oltre al business, devono essere portati avanti dei valori importanti e questi giocatori sono stati simbolo di qualcosa di grande per i bambini che approcciano al calcio non solo qui in Italia, ma in tutto il mondo. Sono persone attaccate alla propria città e che sono rimaste nella stessa società per molti anni. Questi sono valori che non stridono con il business e la modernizzazione del calcio. I tifosi della Roma vogliono vedere una continuità, ma dove sta? La continuità sono Totti e De Rossi».

È difficile parlare con trasparenza ai tifosi? 
«Ci va messa la faccia e spiegare. Ha ragione Francesco quando dice che le cose ai tifosi vanno dette come stanno. Ma è anche difficile dirle perché puoi essere soggetto a critiche. Quando si fa calcio succede anche questo, a me è accaduto e soffrivo io per i tifosi. Ma poi i nostri piccoli grandi successi li abbiamo portati casa, lottavamo sempre e qualche Coppa Italia l’abbiamo vita. Però dovevamo dire la verità».

Percepiva la tristezza di Francesco in questi due anni?
«Non riuscivo a vederlo lì seduto allo stadio in quel modo». 

Perché? 
«Io ho un grande affetto per Francesco, l’ho sempre coinvolto ma non perché fosse necessario, ma perché capivo già all’epoca che era importante coinvolgerlo. Non era necessario interpellarlo, ma sapevo che era importante farlo, ma non per qualche vantaggio ma perché poteva darti consigli importanti. In momenti difficili, lui c’è sempre stato ma perché c’è sempre stato un legame con la famiglia Sensi».

Quando le ha fatto il contratto da dirigente a che ruolo aveva pensato per lui?
«Non potevo pensare a Francesco fuori dalla Roma e pensavo potesse avere un ruolo fondamentale. Direttore tecnico poteva essere quello giusto per lui e se non fosse stato quello sarebbe potuto essere un altro».

Quanto incide l’assenza di Pallotta a Roma? 
«Quando vuoi fare il proprietario di una società di calcio devi essere presente. Il calcio non è un business normale, ma è a 360 gradi. Non gestisci numeri, ma parli con le persone, devi vederle, devi capire se un giocatore sta in un certo modo. L’allenatore e i dirigenti non vanno lasciati soli. È una cosa complessa perché devi parlare con gli altri presidenti, devi interloquire con quel mondo. È chiaro, però, che devi avere anche bravi dirigenti perché non puoi fare tutto da solo». 

Che uomo era Baldini quando lei lo ha conosciuto? 
«Sembrava un uomo mite, poi il calcio lo ha trasformato. Mi dispiace che non abbia ringraziato mio padre che gli ha dato questa opportunità, perché lui all’epoca faceva il procuratore. Penso che abbia un carattere particolare e comunque credo che dopo tanti anni che fai calcio sei cosciente che devi metterci la faccia».
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