LO SCENARIO
Fra i primi, ci sarebbe la candidata dell’estrema destra, Marine Le Pen, esponente del Fronte nazionale. La signora ha improntato tutta la sua campagna sulla sicurezza, sulla lotta al fanatismo islamico, sull’offensiva antiterroristica a tolleranza zero. “Con me al potere non ci sarebbe stato il Bataclan”, predica da giorni la rappresentante della destra xenofoba e nazionalista, che sogna il blocco delle frontiere, l’uscita dall’euro, il ritorno al sovranismo di stampo gollista. «I terroristi schedati S sarebbero stati espulsi su due piedi e se binazionali privati subito della cittadinanza».
Eppure non sembra essere lei il bersaglio dei jihaidsti. I terroristi arrestati a Marsiglia pare mirassero a François Fillon, candidato della destra moderata, che ha rifiutato il giubbotto antiproiettile, ed è stato funestato da un’inchiesta della magistratura con l’accusa di abuso di potere e corruzione per aver remunerato moglie e figli col danaro pubblico (ma la legge francese non vieta a un deputato di arruolare in famiglia i suoi assistenti parlamentari) e rimasto in lizza nonostante l’accerchiamento mediatico. In settembre, Fillon ha pubblicato un saggio dal titolo Vincere il totalitarismo islamico, in cui denunciava senza remore l’integralismo islamico e il lassismo nei confronti dello stesso. Inoltre, cattolico praticante, esponente della Francia tradizionalista e borghese, Fillon è vicino al movimento “Sens commun”, che ha mandato in piazza migliaia di persone per protestare contro la legge sul matrimonio gay. Dunque, potrebbe essere lui non solo il bersaglio privilegiato del terrorismo jihadista anticristiano e antioccidentale, ma il principale quanto involontario beneficiario del recente clima di tensione. Non per niente, in queste ore rimbalza nel Tout Paris la notizia del crescente ottimismo nel campo della destra moderata: le intenzioni di voto pro Fillon pare siano in aumento, anche se dissimulate, perché l’elettore si vergogna di dichiarare che voterà per un inquisito.
E poi c’è Emmanuel Macron, il globalista, liberale, il progressista riformatore, paladino della Francia dei diritti umani, pronto a parlare con la Russia, ma non ad accettare i campi di reclusione per gli omosessuali in Cecenia. E’ il candidato dell’apertura, dell’inclusione, del “ma anche”: si è rifiutato di sospendere un attivista musulmano del suo movimento, pur riconoscendo che era un tipo radicale. Sul velo e sul burkini sembra possibilista, non infierisce sui segni di appartenenza religiosa, e in fatto di laicità si professa moderato, col rischio di ricevere gli strali di Marine Le Pen. Pur non essendo il bersaglio privilegiato di attentati a sfondo islamico, anche Macron potrebbe finire di beneficiare dell’apprensione di queste ore.
L’IDENTITÀ
E’ l’unico candidato che vuol essere conciliante, che cerca di rassicurare l’elettorato senza fughe in avanti né salti nel vuoto. Adesso anche lui ha iniziato a parlare di identità nazionale, di cultura, di patriottismo, come se volesse scongiurare fuori tempo massimo la concorrenza a sinistra di Jean Luch Mélenchon, il tribuno della plebe dalla retorica smagliante, candidato della Francia indomita, che sogna un’alleanza alla Bolivar, la fine della Quinta repubblica, un referendum e un’assemblea costituente per instaurare una democrazia parlamentare e plebiscitaria. Tutto molto utopico, insomma. Un po’ troppo, persino per i jihadisti islamici.