Cucchi, il carabiniere intercettato: «I pm vogliono arrivare ai vertici». In aula il racconto choc dell'infermiere

Cucchi, il carabiniere intercettato: «I pm vogliono arrivare ai vertici». In aula il racconto choc dell'infermiere
Cucchi, il carabiniere intercettato: «I pm vogliono arrivare ai vertici». In aula il racconto choc dell'infermiere
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Mercoledì 7 Novembre 2018, 18:11 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 15:00

Continua il processo a carico di cinque carabinieri per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano fermato per spaccio a Roma e morto una settimana dopo, nel 2009. In una intercettazione il carabiniere Francesco Di Sano, piantone alla caserma di Tor Sapienza, parlando col cugino - l'avvocato Gabriele Di Sano (entrambi sono indagati nel nuovo filone in cui si ipotizza il falso) - diceva: «Questi vogliono arrivare ai vertici. Pensano che hanno 'ammucciato' (nascosto, ndr) qualche cosa, ma ci posso entrare io carabinericchio di sette anni di servizio a fare una cosa così grande?». L'intercettazione è stata depositata oggi dalla Procura. 

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Di Sano è il carabiniere che era in servizio alla stazione Tor Sapienza dove Cucchi venne portato dopo alcune ore trascorse nella caserma Casilina. In un'altra telefonata, diceva ancora: «Loro mi dicevano 'non cambia nella sostanza perché è scomparso questo': i dolori al costato sono diventati dolori alle ossa». «Dal pm io sono andato impreparato - aggiunge - con l'ansia perché lui ti intimorisce proprio. Io non ho fatto nulla...ma il reato c'è per carità di Dio, risponderò di quello, ma ripeto c'è la buona fede...per me sono identiche le due annotazioni, cioè cambia solo la sintassi, e loro mi dicevano 'no cambia nella sostanza' perché è scomparso questo, i dolori al costato sono diventati dolori alle ossa»



L'INFERMIERE: «SEMBRAVA DORMIRE INVECE ERA MORTO» «Lo trovai disteso su un fianco, con la mano sotto la testa. Sembrava dormire, ma non rispose». Era la mattina del 22 ottobre 2009 e Stefano Cucchi, disteso in un letto dell'ospedale Sandro Pertini, era morto. A ricordare quegli istanti un infermiere, Giuseppe Flauto, che già nel processo a suo carico, in cui fu assolto, ricordò il momento del decesso. Oggi lo ha ripetuto in aula. Flauto ha ricostruito cronologicamente i suoi 'contatti' con Cucchi. Lo vide la sera del suo ingresso in ospedale e altre tre volte, prima di constatarne la morte la mattina del 22 ottobre.

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Due giorni prima, il suo primo 'vero' dialogo. «Lo trovai con addosso sempre lo stesso maglione dei giorni prima - ha detto - Gli proposi di cambiarsi e gli misi sul letto una busta d'indumenti che c'era sul tavolo, ma lui mi rispose che non voleva nulla, di buttarli via. L'unica cosa che ci consentì fu il cambio lenzuola. Gli chiesi cosa gli era successo perché aveva ecchimosi intorno agli occhi, si lamentava di un dolore alla schiena; mi disse che era caduto qualche giorno prima». Poi l'ultimo giorno. «Era magro e tentai di stimolarlo a mangiare - ha aggiunto Flauto - Con il medico, nel pomeriggio, volevamo fargli una flebo perché c'erano esami che si stavano muovendo in segno negativo. Non accettò».



La notte prima della morte, un momento 'strano': «Con un collega gli somministrammo la terapia. Era tranquillo, mi stupì che non mi chiese un antidolorifico. Verso mezzanotte suonò il campanello dicendo di essersi sbagliato; cosa che ripeté dopo circa un'ora, dicendo che voleva cioccolata; poi non chiamò più». Verso le 6 di mattina, Stefano Cucchi fu trovato morto. «Tentammo di rianimarlo ma non ci fu nulla da fare. La polizia penitenziaria disse di lasciare il corpo così com'era perché doveva prima visionarlo il magistrato. Andai in infermeria, arrivò il cambio turno, lasciai le consegne, smontai».

ALTRO AUDIO: LA CONVERSAZIONE CHIAVE Intanto il sito Repubblica.it ha pubblicato l'audio di un'altra conversazione telefonica, intercettata dagli agenti della Squadra Mobile della Polizia alle tre del pomeriggio del 22 settembre scorso e depositata dal pm Giovanni Musarò agli atti del processo. «È una conversazione chiave - spiega il sito - che ricostruisce la genesi di alcuni dei falsi disposti dalla catena di comando dell'Arma di Roma e cruciali per far deragliare la ricerca della verità».

Il colloquio avviene fra il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, che ha ricevuto un'informazione di garanzia per falso ideologico e materiale, e l'appuntato Gianluca Colicchio. Colombo Labriola, spiega il sito, «almeno apparentemente, appare sorpreso dall'essere chiamato a rispondere dei falsi che, nell'ottobre del 2009, sono stati direttamente ordinati dal Comando di gruppo Carabinieri Roma (nella persona del suo capo Ufficio, il tenente colonnello Francesco Cavallo) per dissimulare le reali condizioni di salute di Stefano dopo il pestaggio subito la notte del suo arresto».

Colicchio, spiega Repubblica.it, è «insieme all'appuntato Francesco Di Sano, il carabiniere che conosce, come del resto il maresciallo Colombo, la storia di quei falsi. Chi li ordinò, chi fece pressione perché all'ordine venisse dato corso (il maggiore Luciano Soligo, comandante della stazione Montesacro Talenti e superiore gerarchico del maresciallo Colombo), e dunque come l'intera catena di comando fosse al corrente di quella cruciale manipolazione di atti destinata a indirizzare la ricerca della verità lontano dai responsabili del pestaggio (i carabinieri in servizio alla stazione Appia che arrestarono Stefano la notte tra il 15 e 16 ottobre)».

Nel colloquio, il maresciallo sottolinea fra l'altro che, se indagano lui, devono essere indagati anche altri ufficiali suoi superiori.
«Gianluca, hai saputo la novità?», chiede il maresciallo, che dice all’appuntato di essere indagato per falso ideologico e falso materiale. «Ma lei materialmente, più che aver fatto le comunicazioni con Cavallo e chiedere cosa voleva Cavallo, qual è il problema?» chiede l’appuntato Colicchio. «Bravo, allora se hanno indagato me dovevano indagare anche Cavallo, anche Casarsa (colonnello, ndr), anche Tomasone (generale, ndr)», dice Labriola. «Anche perché Cavallo fece la richiesta di cambiarle», ricorda Colicchio. «Bravo, ma anche perché le mandò lui già cambiate», dice il maresciallo.

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