Statali, ora è rebus liquidazioni. Per i contratti seicento milioni

Statali, ora è rebus liquidazioni. Per i contratti seicento milioni
di Andrea Bassi
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Venerdì 12 Ottobre 2018, 08:26 - Ultimo aggiornamento: 20:58

Rischiavano di restare a bocca asciutta. Invece, in zona Cesarini, il governo si prepara a stanziare per gli statali circa 600 milioni di euro nella prossima manovra. Soldi che, tuttavia, non serviranno al nuovo rinnovo del contratto atteso per il 2019, ma quantomeno ad evitare che dal prossimo 27 gennaio, un numero considerevole di dipendenti pubblici si ritrovi con una busta paga più leggera. L'ultimo rinnovo del contratto, quello firmato dal governo Gentiloni a febbraio, a ridosso delle elezioni politiche, ha previsto per tutti i dipendenti pubblici con retribuzioni fino a 26 mila euro, l'inserimento in busta paga del cosiddetto «elemento perequativo».
 



Un incremento retributivo di circa 20 euro al mese che però sarebbe scaduto a dicembre. Nelle buste paga di gennaio, insomma, qui soldi sarebbero spariti. Il governo sarebbe pronto a stanziare 225 milioni di euro circa, per garantire il pagamento dell'elemento perequativo anche per il 2019 a tutti gli statali che ne hanno diritto. Altri 225 milioni circa, dovranno essere finanziati invece dai Comuni e dalle Regioni per i loro dipendenti. Questo non significa, però, che sarà aperto il tavolo contrattuale per rinnovare gli accordi per il prossimo triennio. Anzi. Ormai è quasi certo che nella manovra non saranno inserite risorse per il nuovo contratto. Sarà invece alimentato il fondo per l'indennità di vacanza contrattuale, che dovrebbe essere finanziato con circa 370 milioni di euro, portando così i fondi a disposizione del pubblico impiego a circa 600 milioni. Tutte cifre che dovranno essere confermate nei prossimi giorni, visto che il governo è ancora alla ricerca di coperture per la manovra. L'intenzione, tuttavia, sarebbe quella di non lasciare completamente a bocca asciutta i 3,3 milioni di dipendenti pubblici, che sono stati anche uno dei noccioli duri del consenso elettorale soprattutto del Movimento Cinque Stelle. Un segnale di attenzione. Difficile però, che ai sindacati possa bastare.

L'OSTACOLO
Anche perché sulla strada della riforma Fornero si sta addensando una nube che inizia a impensierire il governo e che riguarda proprio i pubblici dipendenti. Nel conteggio dei costi per l'introduzione di «quota 100», ossia della possibilità di poter lasciare il lavoro con 62 anni di età e 38 di contributi, non si sarebbe tenuto conto del «trattamento di fine servizio», la liquidazione che lo Stato e gli enti locali devono versare ai loro dipendenti quando si ritirano dal lavoro. Non è una questione da poco. Le regole attuali prevedono che i primi 50 mila euro di questa liquidazione, vadano versati immediatamente agli statali che si pensionano, mentre la parte che eccede questa somma viene versata entro 60 mesi. In media, secondo le stime dei sindacati, la liquidazione di un dipendente pubblico oscilla tra i 70 mila e gli 80 mila euro. Secondo le prime stime, la modifica della legge Fornero proposta dai tecnici della Lega, permetterebbe a circa 150 mila statali di anticipare il pensionamento. Stato ed Enti locali, insomma, a dovrebbero versare immediatamente almeno 50 mila euro ad ognuno dei nuovi 150 mila pensionati pubblici. L'esborso complessivo sarebbe di 7,5 miliardi di euro, una cifra che in pratica raddoppierebbe il costo della revisione della legge Fornero.

L'IPOTESI
Il governo starebbe lavorando ad una soluzione che, in pratica, risolverebbe anche un altro problema. Il differimento di oltre due anni del versamento del trattamento di fine servizio, dopo un ricorso della Confsal, sta per finire davanti alla Corte Costituzionale. Il rischio di una bocciatura è elevato. Così l'esecutivo starebbe pensando ad una soluzione simile all'Ape. La liquidazione sarebbe pagata tutta e subito ai dipendenti che si pensionano. Ma l'esborso non sarebbe a carico dello Stato, ma sarebbe anticipato dalle banche. Il Tesoro restituirebbe capitale e interessi in cinque anni, riducendo così il costo della liquidazione che pesa sulle casse pubbliche a circa 1,5 miliardi l'anno. Questo sempre che le banche, alle quali il governo vorrebbe tagliare le detrazioni, siano d'accordo.

 

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