Leonardo pittore per caso

Leonardo pittore per caso
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Giovedì 25 Settembre 2014, 06:23
L'INTERVISTA
«Forse, Leonardo non ha mai posseduto il sacro fuoco della pittura; gli interessava altro; magari cercava di acquisire il controllo sulla natura. Ci sono tantissimi indizi che ce lo dicono; quasi che, per l'autore della Gioconda, la pittura fosse una pratica in qualche modo residuale», dice Costantino D'Orazio. E' un giovane studioso d'arte che però vanta già rubriche alla radio e in tv; ha raccontato i luoghi strani d'Italia e Roma e i segreti di Caravaggio; ora esce (Sperling & Kupfer, 256 pagine, 18 euro) Leonardo segreto, gli enigmi nascosti nei suoi capolavori.
D'Orazio, ma perché mai Leonardo non si sentiva un grande pittore?
«Perché non lo era. Ci sono rimasti tanti quadri suoi non finiti, o rifiutati; spesso viene sostituito da altri nelle commissioni; quando scrive un curriculum vitae, elenca la pittura all'ultimo posto; e se Lorenzo il Magnifico manda dei pittori da papa Sisto IV Della Rovere, perché lavorino nella Sistina, lui non è tra i prescelti».
Andiamo con ordine: i dipinti rifiutati, o non finiti?
«Il San Girolamo, che è ai Musei vaticani, o l'Adorazione dei Magi, che è agli Uffizi: mai consegnati. Forse perché l'iconografia è troppo avanti per i tempi. Il Girolamo di Leonardo è disperato come poi lo dipingerà Caravaggio: si è già colpito con la pietra; la tiene in mano, e il petto è nero. Nell'Adorazione, pone al centro la Madonna e Gesù: fino ad allora, e si vedano Gentile da Fabriano, Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici Riccardi a Firenze, o Domenico Veneziano, li si poneva di lato: perché fosse possibile avere lo spazio per dipingere il corteo dei Magi. Insomma, la sua iconografia sconcerta e, come nella cappella di San Bernardo a Palazzo Vecchio, o alla chiesa di San Donato a Scopeto, è sostituito con Filippo Lippi».
Perché il magnifico Lorenzo manda a Roma altri e non lui?
«Forse perché non faceva parte del circolo dei suoi più fedeli. Leonardo era un figlio illegittimo; non aveva studiato il latino; non entra nella sua cerchia. Così, manda Perugino, Botticelli, Ghirlandaio, Pinturicchio. E c'è anche un altro caso in cui Leonardo viene soppiantato da altri».
Cioè?
«Nel 1476, Congiura dei Pazzi. Nell'angolo di un foglio, Leonardo disegna un congiurato, Bernardo Baroncelli, appena impiccato. Se ne appunta i colori e il tipo di stoffa: come se volesse eternarlo; ma lo farà invece Sandro Botticelli».
Però a Milano lascia alcuni grandi capolavori.
«Ci arriva portando come regalo una lira d'argento. Ne fa anche un disegno; la suona e vince un concorso, poi, chissà che fine fa. Ma appena otto anni dopo, ottiene la prima commissione da pittore: al Castello Sforzesco, nei camerini, con artisti così poco rilevanti da essere rimasti ignoti. Soltanto dopo verranno la Sala delle Asse, la Belle Ferronière, la Dama con l'ermellino, il Cenacolo. Però, quando arriva, scrive al duca di Milano; siccome la lettera non era una per se stesso, egli, che era mancino e per questo scriveva all'incontrario, non si pensi a chissà quali misteri, la scrive da destra. Chissà se mai invia questo curriculum vitae. Sono 11 punti: ciò che sa fare e vorrebbe poter fare. La pittura è l'ultima voce. E lasciamo perdere i guasti dei suoi affreschi, dal Cenacolo, alla Battaglia di Anghiari, finiti assai malamente».
E se non dipinge, a Milano che cosa fa?
«Accumula disegni militari; prova a eseguire la gigantesca statua di Francesco Sforza, però non la finisce».
E' pur sempre l'autore della Gioconda, no?
«Recentemente, il Louvre ne ha eseguito la radiografia; non è molto conosciuta: la Gioconda ha il volto scavato, manca il celebre sorriso. Leonardo se la porta dietro, e ci lavora infinite volte. Insomma, secondo me, dipingeva per necessità. Era più attratto dalla natura, dal modo di controllarne i fenomeni. Anche al Cenacolo, una settimana lavorava come un matto, poi, ce lo dice Matteo Bandello, per vari giorni non si faceva nemmeno vedere».
E la parentesi romana?
«Chiamato da Giuliano de Medici per non far nulla. Studio al Belvedere, si dedicava piuttosto all'anatomia. Era pagato assai poco: 33 scudi al mese, quando Raffaello, in tre anni e per affrescare le Stanze, ne aveva ricevuti 12 mila dal papa. Usava una banca di Firenze, all'Ospedale di Santa Maria nuova; compie un grosso versamento solo quando lavora per la corte milanese: è l'unico. La sua è una vita che va smitizzata».
Fabio Isman
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