Esami tagliati, eccessiva la reazione dei medici

di Silvio GARATTINI
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Venerdì 25 Settembre 2015, 14:15 - Ultimo aggiornamento: 14:16
Il mondo dei medici è in grande agitazione in rapporto con un decreto ministeriale che riguarda l'appropriatezza e in qualche modo sottrae alla libertà del medico la possibilità di effettuare 208 prescrizioni diagnostiche. In realtà c’è un po' di eccesso nella corale levata di scudi da parte delle varie organizzazioni sindacali mediche perché non si tratta di divieti assoluti e, d'altra parte, si tratta nella larga maggioranza dei casi di aspetti diagnostici genetici che ricadono evidentemente non tanto sotto la responsabilità del medico di medicina generale quanto dello specialista o del medico ospedaliero. In realtà, si ha la sensazione che la reazione dei medici sia dovuta ad un senso di profondo disagio dovuto all'eccesso di pratiche amministrative e al senso di frustrazione dovuto alla necessità di esercitare la medicina “difensiva” per evitare i continui attacchi legali di “malpractice” molto spesso completamente ingiustificati. Il decreto evoca un tema molto importante in medicina e ha come parola chiave il termine “appropriatezza”: vale a dire, la necessità che il medico realizzi i propri interventi tenendo conto del beneficio dell'ammalato che deve essere trattato nel miglior modo possibile seguendo i dettami dell'evidenza scientifica e, a parità di efficacia, seguendo le regole della economicità.

Le ragioni per ritenere che le prescrizioni diagnostiche e terapeutiche siano ben lontane dall'appropriatezza sono ben evidenti a tutti gli addetti ai lavori. Siamo il Paese in cui si eseguono più risonanze magnetiche e Tac rispetto ad altri Paesi europei: spesso basta un po' di tosse per richiedere immediatamente un risonanza magnetica o un mal di stomaco per sottoporre il paziente ad una gastroscopia.

I ricorsi al pronto soccorso si sprecano come pure gli esami ematologici. In campo terapeutico la mancanza di “appropriatezza” è evidente anche solo osservando le differenze regionali nella prescrizione dei farmaci che raggiungono anche il 30 per cento. Non è possibile questa differenza se non pensando ad un eccesso di prescrizioni per compiacere le richieste dei pazienti o delle industrie farmaceutiche. La stessa considerazione si può fare considerando l'ostruzione ai farmaci generici che nel 2014 è costata ai cittadini italiani più di un miliardo di euro. È anche inaccettabile la prescrizione di costosissimi farmaci antitumorali in fin di vita quando è evidente che la diffusione del tumore non può più essere arrestata.

Ma mancanza di appropriatezza è anche non effettuare trattamenti efficaci come in questo contesto lo scarso utilizzo di morfina e derivati per la terapia del dolore. Si può anche ricordare come sia contrario al buon senso continuare a prescrivere farmaci costosi perché ancora sotto brevetto per indicazioni comuni a farmaci generici che hanno la stessa attività e costi molto più bassi; la classe delle statine per il trattamento delle ipercolesterolemie e quella dei sartani per il trattamento dell'ipertensione offrono ampie possibilità di riflessione per molti medici! Tuttavia non bisogna perdere di vista l'altro lato della medaglia, e cioè l'atteggiamento del Ministero della Salute e delle Regioni, che giustamente chiedono “appropriatezza”, ma fanno molto poco per coinvolgere i medici nelle decisioni e soprattutto non prendono decisioni che aiutino i medici a svolgere bene il loro compito risolvendo a monte molti problemi. Ad esempio la revisione del Prontuario Terapeutico Nazionale - promessa ogni anno e mai effettuata- escludendo farmaci che hanno le stesse attività ma prezzi molto diversi, aiuterebbe il medico a non dover scegliere.

I livelli essenziali di assistenza (LEA) sono fermi al 1996 e forse saranno disponibili allla fine dell'anno,ma nel frattempo con quale credibilità si può chiedere al medico di essere appropriati nell'uso delle terapie quando si rimborsano le cure termali ed in alcune Regioni si rimborsano la fitoterapia ed i rimedi omeopatici? Infine le Autorità competenti non possono dimenticare che la medicina si sta evolvendo e complicando in modo esponenziale e che perciò occorre aiutare i medici ad essere aggiornati fornendo informazioni che riassumano la conoscenza. La educazione medica continua (ECM) è lasciata all'arbitrio di chi ha interessi di tipo economico, anziché utilizzarla per instillare i principi anche etici e non solo tecnici che guidano il Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta di studiare il modo migliore per fare e diffondere cultura basata sull'evidenza e sulla credibilità. È possibile che questa contrapposizione sollevata dal decreto possa diventare un occasione per operare in modo da aumentare l'appropriatezza a vantaggio dell'ammalato e del Servizio Sanitario Nazionale?