Il Paese non svolta senza la ripresa del Sud

di Fabio CALENDA
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Mercoledì 6 Gennaio 2016, 16:48

Nel 2015 l’Italia è giunta in mezzo al guado; il capriccio delle correnti, la profondità e la melmosità dei fondali richiedono di intensificare gli sforzi per toccare la sponda opposta. I progressi sono espressi da numeri, che sintetizzano fatti; gli ostacoli scaturiscono sia dai polveroni della politica nostrana, sia dalle tensioni che si addensano nel panorama economico e geopolitico internazionale.

Di numeri ne sono usciti di recente a iosa, da ultimo i consuntivi di Eurostat (ultimi dati a ottobre), con una dovizia di statistiche sulle principali economie europee. I confronti non ci premiano, anche considerando i fatti positivi successivamente intervenuti, riguardanti il significativo incremento della fiducia di consumatori e imprese. Bastano due indicatori a indicare la persistenza del gap da colmare.

E ad alimentare polemiche del tipo bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dopo una lunga recessione, l’economia è in recupero (+0,8%) e la disoccupazione in discesa, ma ancora attestata su livelli eccessivamente elevati (11,3%). Rispetto all’eurozona, tuttavia, la nostra crescita è inferiore di circa la metà, mentre la disoccupazione appare più allineata. Senonché il dato europeo (10,7%) è il risultato di una media del pollo, comprendente il 22% e il 26% di Spagna e Grecia e il 6% della Germania.

Considerato il punto di partenza, il nostro progresso è apprezzabile e in linea con le previsioni effettuate a suo tempo dagli esperti, improntate al pessimismo della ragione: insufficiente, invece, rispetto alle attese diffuse nell’opinione pubblica. La ricerca del consenso, in una fase di importanti scadenze elettorali (amministrative nei più importanti comuni e referendum confermativo sulle modifiche della costituzione) potrebbe ridurre l’incisività dell’azione riformatrice – segnali di tali rischi già si intravedono – pregiudicando il consolidamento della ripresa.

È ormai un dato acquisito - vedremo presto se anche metabolizzato - che il passaggio del guado sia connesso con la ripresa del Mezzogiorno: una questione nazionale, come ribadito con assertività dal Presidente delle Repubblica, da cui dipende la capacità del sistema Italia a “non restare indietro.” Sotto questo profilo, è confortante registrare un risveglio, documentato dalla Confindustria, che potrebbe annunciare un’inversione di tendenza. Dopo anni di profondo rosso, il Pil meridionale dovrebbe entrare in territorio positivo (+0,2%); l’export registra una dinamica consistente; la disoccupazione riduce la distanza verso i livelli precedenti alla crisi (2007); in aumento anche gli impieghi bancari, soprattutto rivolti all’industria manifatturiera.

Segnali ancora deboli forse, ma che acquistano una valenza positiva alla luce di due fattori: il primo, più importante, risiede nella qualità del risveglio, frutto delle potenzialità endogene manifestate dal territorio di stare sul mercato e non di interventi specifici di sostegno; il secondo, che si è manifestato nonostante l’impatto devastante operato da un settennato di crisi sul tessuto produttivo meridionale. Considerazioni, queste, valide a suscitare speranze e impegno, non ottimismo compiacente. La perdurante fragilità del contesto è confermata dall’unica variabile economica rimasta al palo nell’intero paese e ancor più nel Meridione. Unica, ma decisiva per realizzare una svolta.

Gli investimenti. Il 2016 deve essere l’anno della ripresa degli investimenti, soprattutto al Sud. Un obiettivo complesso, che implica non solo un intervento pubblico più intenso, finalizzato, nonché coordinato con le regioni, riducendo al minimo la conflittualità, ma anche la determinazione a portare a termine dossier ancora aperti, indispensabili a concretizzare le decisioni a investire, da parte di operatori italiani e stranieri: le riforme dell’amministrazione e della giustizia, volte a snellire le procedure e a produrre certezze.

Entrambi i dossier sono sul tavolo del Governo, individuati come priorità per l’anno in corso. Allo stato attuale, tuttavia, appaiono più come semi lavorati, che misure già in grado di modificare in misura rilevante le aspettative. Sarebbe un peccato se l’Esecutivo perdesse slancio su tali fronti, lasciandosi invischiare in sterili confronti e in interventi episodici, a causa delle polemiche, già in fase di surriscaldamento per l’approssimarsi delle scadenze elettorali.

Risulterebbe, così, vanificata l’azione efficace che sta svolgendo sul fronte europeo per acquisire e mantenere i margini di flessibilità necessari alla ripresa degli investimenti.
Su questo fronte, il Meridione non è stato fermo. In particolare, la nostra regione ha fornito prova di dinamismo, centrando l’obiettivo della programmazione di spesa del fondo europeo per le infrastrutture (Fesr) e conseguendo sostanziali progressi negli altri.

Bene ha fatto il premier a legare il suo destino politico all’esito del referendum sulla riforma elettorale: uno scatto d’orgoglio su un risultato probabile ma non scontato. Nel suo intervento di fine anno, il Presidente della Repubblica, ha elencato numerosi esempi, tratti dalla comunità nazionale, che costituiscono motivi di fierezza. I commenti ne hanno dato ampio risalto, trascurandone uno che ritengo importantissimo. Quando ha affermato di avere colto nei rappresentanti stranieri da lui incontrati, considerazione e fiducia nei confronti dell’Italia e degli italiani maggiori di quelle che noi rivolgiamo a noi stessi. Un monito, tanto più efficace per il tono tranquillo con cui è stato espresso, contro l’autodenigrazione ricorrente, che spesso cela alibi per giustificare individualismo o passività. Un sano orgoglio, sprovvisto di vanagloria, è un combustibile necessario per alimentare la ripresa.
Fabio Calenda