La crisi dei partiti in Europa è sistemica

di Mauro CALISE
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Martedì 22 Dicembre 2015, 20:44
La crisi che si sta abbattendo, in tutta Europa, sui vecchi partiti non riguarda solo il loro declino organizzativo. Certo, il fenomeno più eclatante è il loro deficit di rappresentanza, lo sfaldarsi dei blocchi – sociali ed ideologici – e l’affanno delle antiche oligarchie costrette ad affidarsi al leader mediatico di turno. Ma c’è un aspetto, forse ancora più drammatico, che le ultime elezioni – in Italia, in Gran Bretagna, in Francia e ieri in Spagna – stanno mettendo impietosamente a nudo. I partiti non fanno più sistema. Non funzionano più quei rapporti di interazione – e contrapposizione - reciproca su cui, per oltre mezzo secolo, si è basata la democrazia dell’alternanza. Due partiti – o due poli – in campo, facilmente identificabili che, dopo un’elezione, ci permettevano di capire chi vinceva e diventava governo, e chi restava all’opposizione. Oggi, non è più così.

Il tracollo è cominciato in Gran Bretagna, da sempre culla del bipartitismo perfetto che con tanti sforzi – inutilmente – in Italia abbiamo cercato di emulare. Prima è arrivato il governo di coalizione, coi conservatori costretti ad accordarsi con i liberlademocratici. Poi, al turno successivo, Cameron si è salvato per un soffio.

Col regno unito (absit iniuria verbis) a un passo dall’ingovernabilità, per la crescita di due partiti antisistema, gli antieuropeisti dell Ubik e i nazionalisti scozzesi. Peggio della Gran Bretagna pentapartita sta messa la Francia che convive, da vent’anni, con l’incubo Le Pen. E che si appresta, alle prossime presidenziali, a far – probabilmente – di nuovo fronte a un ballottaggio truccato.

Con la sinistra costretta a regalare i propri voti alla destra moderata, pur di fermare la valanga reazionaria del Fronte nazionale.
In Italia, è bastato che tramontasse la stella di Berlusconi – collante, al tempo stesso, del centrodestra e del centrosinistra suo avversario – perché ci ritrovassimo tre poli. In cui le coordinate tradizionali di destra e sinistra diventano sempre più ballerine.

Con Renzi che si dice di sinistra ma cerca di pescare i voti a destra, Berlusconi che vorrebbe scansare la destra ultrà di Salvini ma non sa come intercettare i moderati, la vecchia sinistra che si ostina difendere le proprie bandiere pur sapendo che non valgono più del tre per cento, e Grillo che, fin dal suo esordio, ha seppellito il vocabolario ideologico per raccogliere a piene mani – e a piena rete – consensi da ogni parte sociale.

I recenti sviluppi spagnoli hanno – se possibile – aggravato questo trend di instabilità. Non solo per il risultato numerico, che manda in soffitta anche a Madrid l’esperienza del bipartitismo, costringendo il prossimo governo a ballare il tango – scivoloso – della coalizione. Ma, ancor più, per la rapidità e la sorpresa con cui si è giunti a questo sfrangiamento. I due partiti che hanno colato a picco il duopolio di conservatori e socialisti si sono sviluppati in pochi mesi. Con una vicenda che ricorda molti degli elementi chiave del nuovo quadro politico italiano. Leadership giovani e pragmatiche come Renzi, ma anche mediatiche e carismatiche come Grillo, con una base movimentista molto attiva tanto in rete quanto nelle piazze.

E comunque in grado di assaltare la cittadella dei partiti storici con una facilità sconcertante. Oggi, sono tutti in grado di riconoscere le molte crepe che hanno reso possibile l’ascesa di Podemos e Ciudadanos. Ma, appena pochi anni fa, c’era qualcuno che l’aveva previsto?

Col che veniamo alla tessera che manca, perché l’Europa con troppi partiti e ormai privi di ancoraggio sistemico diventi pericolosamente ingovernabile. Questa tessera si chiama Germania. Nel bene e nel male, fino ad oggi, l’Europa politica ha tenuto perché ha tenuto il bipartitismo tedesco. Con tutte le critiche che Merkel si è meritata per la sua politica economica, resta il fatto che almeno in Germania non sono cresciuti nuovi partiti – movimentisti, nazionalisti, antisistema – come è successo nel resto d’Europa. Fino ad oggi.

È arduo dire quanto questa tenuta sia dovuta alla solidità organizzativa di Spd e Cdu, e quanto alla leadership della lady d’acciaio che regna da dieci anni inviolata. Ma se solo si prova a immaginare una Germania in cui prenda corpo – e forza – un partito simile a quelli che hanno messo a soqquadro le altre quattro potenze, l’Europa ci appare più fragile. Ancora - e molto - più fragile di quanto già non ci si presenti in questo autunno dell’Occidente.
Mauro Calise