Gli islamici, le donne e l'imbarazzo progressista

di Titti MARRONE
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Lunedì 11 Gennaio 2016, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 09:01
Per condannare ogni singolo caso di femminicidio abbiamo, assai giustamente, riempito colonne di giornali fino ad approdare non all'unico risultato di una legge, solo nel tempo capace di vera efficacia, ma a una più ampia sensibilità sul tema da trasmettere alle nuove generazioni. Non abbiamo manifestato altrettanta tempestività, preoccupazione, indignazione per il gravissimo assalto di massa alle donne compiuto a Colonia durante la sera di San Silvestro da parte di un branco di nordafricani e arabi immigrati in Germania. Non si è sentita una chiara e forte condanna provenire dall'alveo della cultura progressista, che a pronunciarsi sembra aver lasciato il campo a una destra sempre più xenofoba, pronta a cavalcare anche con maggior forza, grazie a quell'episodio, la paura già dilagante dell'immigrato.

E ora, a scuotere anche di più è l'ipotesi formulata dal ministro della Giustizia tedesco, secondo cui gli attacchi sarebbero stati "organizzati" e addirittura coordinati con immigrati in altre città, come sarebbe attestato da una serie di messaggi intrecciatisi prima dell'attacco sui social network.
Ma dopo la notte di Colonia, su politici, commentatori, opinionisti e esponenti vari dell'area che ha più a cuore i diritti democratici - donne comprese - sembra aver piuttosto prevalso il timore di dare spazio a sentimenti contrari alla società multietnica che, nel libro dorato delle buone intenzioni idealizzate, vede convivere facilmente e pacificamente popoli e culture diversi. Alle molestie di massa con aggressioni sessuali, pestaggi, furti e in un paio di casi anche stupri, l'area democratica ha risposto per lo più con inappropriate constatazioni ("l'integrazione tedesca è un bluff"), con ovvietà imbarazzanti ("anche i maschi occidentali molestano le donne"), o con un evergreen del progressismo ("colpa dei poliziotti che hanno lasciato fare").

Che sia per paura d'infrangere il politically correct antirazzista o di essere confusi con l'ondata lepenista, di sicuro risposte del genere non possono essere considerate adeguate a decifrare i comportamenti sempre più complessi di una società in turbolenta evoluzione né aiutano a far fronte alla gravità sconcertante di quanto è avvenuto. Certo, il quadro dei fatti è apparso all'inizio poco chiaro, con notizie arrivate quattro giorni dopo, alla spicciolata, in modo parziale e confuso. Come spesso avviene quando si tratta di parlare di soprusi compiuti sulle donne, per prime esser stesse restie a divulgare l'accaduto. Ma ora che ad averlo denunciato sono state ben 379 donne per la sola stazione di Colonia, più un numero imprecisato di uomini loro accompagnatori, gli avvenimenti assumono un contorno più chiaro. C'è stato un vero attacco alla libertà delle donne di uscire, di muoversi, di andare a un concerto come quello di Capodanno, di portare in giro la propria identità incarnata in corpi agili, veloci che risultano essere un'offesa per la cultura maschilista della segregazione e del possesso detenuta da quegli assalitori. E la cultura progressista deve avere la voce e trovare le risposte a ciò, senza rifugiarsi nel consueto repertorio di banalità buoniste.

Saranno risposte complesse, per forza di cose, da adeguare a una società complessa e contraddittoria, in cui gli immigrati sono per molti versi la risorsa economica premiale per l'Occidente ma per altri sono portatori di un oscurantismo contiguo al tasso di violenza scatenata in attacchi come quello di novembre a Parigi.
A trovare da subito la voce per esprimere una condanna è stata la cancelliera Merkel, la donna che alla foto del piccolo Aylan morto a 3 anni nel mare della Turchia, a sorpresa e probabilmente non senza calcolo politico-mediatico, reagì aprendo per qualche tempo le frontiere ai siriani. Merkel ha subito definito i fatti di Colonia "azioni criminali, disgustose" e soprattutto ha detto "niente asilo a chi commette reati". Posizione probabilmente scandalosa per chi della democrazia e dell'accoglienza ha un'idea ricavata da qualche edificante film à la page o da un manualetto per anime belle. Ma passaggio obbligato se s'intende la convivenza civile come rispetto di un quadro di valori e possibilità non da fruire a senso unico e con attitudine predatoria, ma cui si deve piena osservanza. Aspettarsi questo da parte dei Paesi ospitanti non vuol dire soffocare altrui culture per imporre la propria, ma semplicemente: se si vive qui e di questo luogo si godono i vantaggi, di questo luogo si accettano le regole.

In cima a questi valori, l'Occidente deve porre il rispetto delle donne, da ricordare anche a se stesso come impegno costante perché mai completamente onorato. Probabilmente è proprio da qui, dalla considerazione del ruolo e dell'identità della donna, che passa una delle più importanti chances a disposizione di una vera e universale cultura dei diritti. E per esempio, pochi sanno che nell'estate 2014 Al Baghdadi dispose che tutte le donne dello Stato islamico (Isis) andavano sottoposte a una mutilazione genitale per impedire "la diffusione del peccato", introducendo surrettiziamente l'infibulazione che di fatto non esiste nel Corano. Immaginiamo che cosa potrebbe accadere se le islamiche, tutte, avessero pieno e libero accesso all'idea di un mondo senza segregazione sessuale, schiavitù domestica, occultamento forzato, negazione dell'istruzione: non potrebbe forse essere qui il grimaldello per sconfiggere anche l'Isis? E in generale, assumere il rispetto riservato alle donne a mo' di barometro di civiltà, non potrebbe indurre tutte le culture - inclusa quella progressista occidentale, infiacchita e lenta a rispondere alle sfide di un mondo in cambiamento - a tenere viva l'appartenenza alla complessità di società mobili come mai prima?