Intrattenere o informare, il bivio dei talk show

di Stefano CRISTANTE
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Venerdì 11 Settembre 2015, 21:48 - Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 09:59
“Dopo tutte queste polemiche, signora Vera Casamonica, la musica del Padrino evoca sicuramente una persona non proprio limpida perché il Padrino era un uomo molto potente e aveva fatto quello che aveva fatto. Quindi celebrare suo padre con la musica del Padrino significava identificarlo in un personaggio potentissimo ma negativo”. Questa è la trascrizione letterale della prima interlocuzione tra Bruno Vespa, conduttore di Porta a Porta, e Vera Casamonica, figlia di Vittorio Casamonica, il cui sfarzoso funerale del 20 agosto scorso ha ulteriormente agitato la capitale d’Italia, già al centro di pesantissime indagini a centralità politico-corruttiva (Mafia Capitale).



La puntata è andata in onda l’8 settembre, ma per chi l’ha persa basta andare sul sito della Rai o su Youtube. Nello studio di Vespa e nelle famose poltroncine bianche sono seduti Vera Casamonica, figlia del deceduto Vittorio, il giovane nipote Vittorino e l’avvocato che da circa trent’anni difende la famiglia, Mario Giraldi. Di fronte a loro il direttore del Messaggero, Virman Cusenza, e la caposervizio della cronaca giudiziaria del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini.



Vespa inaugura la puntata con le parole che abbiamo trascritto in apertura. In sostanza: se uno vuole l’arcinota musica del Padrino al proprio funerale è perché si identifica con quel personaggio. Risposta letterale della Casamonica: “Non è vero, quello è un film, il Padrino. Papà mio lo piaceva quel film, e lo piaceva anche la musica. E poi, quando lui è defunto l’abbiamo fatto come lui desiderava”. Al di là del linguaggio della signora, il concetto è chiaro: “I gusti sono gusti. Dov’è il problema?”. In realtà tutta la puntata di Porta a porta è contenuta in questo primo scambio di battute. Vespa tenta di far ammettere “qualcosa” alla Casamonica, e costei si sottrae sistematicamente declassando le osservazioni di Vespa a semplici interpretazioni sbagliate.



Qualche esempio. Vespa fa notare che uno dei manifesti attaccati fuori dalla chiesa romana dove si è svolto il funerale rappresentava Vittorio Casamonica in abiti abbastanza speciali: “Quel manifesto con suo padre mascherato da papa, insomma, dai, è un po’ di cattivo gusto…”. Risposta: “Non è mascherato da papa, lui vestiva così… Ma il pantalone è blu, faccio vedere le foto.” “Insomma voi lo rifareste tale e quale il funerale?” “Sì, esattamente.” “Compreso l’elicottero?” “Si, sì.” “Lei lo sa che è proibito agli elicotteri sorvolare il centro di Roma?” “Lui doveva dire: non posso andare al centro di Roma. Io sono andata lì, e sono analfabeta. Lui doveva dire: no, fino a lì non arrivo. Che ne so io se ha la licenza o no.” Anche in questo caso il concetto, pur espresso stentatamente, è chiarissimo. E così pure la successiva risposta, parziale ammissione di un errore comunicativo. Di fronte a Vespa che rimprovera l’uso di un altro manifesto accompagnato dalla scritta “Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso”, la signora Casamonica replica che loro intendevano dire che il padre Vittorio aveva conquistato “il cuore nostro, di noi zingari, non c’entra niente con Mafia Capitale. Non era intenzione nostra offendere il paese”. Dopo alcuni altri scambi emerge che era la famiglia a chiamare Vittorio “Il Papa”. “Perché era troppo buono… Era come papa Francesco”, affermano all’unisono Vera e il nipote Vittorino.



Da questo punto in poi la trasmissione diventa un inestricabile viluppo di (diverse) informazioni e di amenità. Si viene a sapere che il defunto aveva cominciato a “trafficare” coi motorini a 13 anni, e che a 17 aveva già una Ferrari (ma la patente non si prende a 18?), ma che non c’è niente di strano perché la famiglia era già benestante e Vittorio era il figlio piccolo e un po’ viziato; che aveva comprato la Ferrari da Armando Trovajoli e venduta un’altra auto a Little Tony; che lo stesso Casamonica aveva frequentato gli ambienti della Dolce Vita e dei nights (“a lui piaceva così”), che non era mai stato accusato di associazione mafiosa né c’entrava nulla con Mafia Capitale. La tesi finale dell’avvocato Giraldi è che “Vittorio Casamonica era un personaggio di un certo spessore ma non un criminale. I peccatucci del «Papa» sono peccatucci… Con Carminati o altri non ha mai avuto niente a che fare”.



Più avanti si viene a sapere che la famiglia Casamonica nel suo complesso conta 117 arrestati per i più vari reati, tra cui usura, estorsione, traffico di stupefacenti e traffico d’armi, ma a quanto pare sono altri rami della famiglia, perché la signora Casamonica non ha mai preso “neanche una multa”. Si finisce, inevitabilmente, in uno spettacolo di tipo para-folcloristico, che in parte giustifica l’alta audience del programma. Vera Casamonica sembra, sulla poltrona bianca di Vespa, un personaggio di fiction, e domina la comunicazione proprio attraverso un linguaggio sideralmente distante da quello dei giornalisti invitati, costretti a un ruolo di comprimari e interpellati soprattutto sugli elementi di inopportunità del funerale del boss e dello scaricabarile tra istituzioni. Il punto di questa vicenda televisiva non è la legittimità da parte di Vespa di intervistare esponenti della famiglia Casamonica.



Vespa può invitare chi gli pare fino a che è responsabile del programma, e non è certo un giornalista che manca di esperienza. Il punto è che cosa emerge da una puntata come questa: cioè se chi assiste si è formato un’idea più precisa di come funziona il rapporto tra criminalità e città, quali fossero effettivamente i reati di cui era accusato Vittorio Casamonica e quali siano state finora le sentenze, se il fatto che si possa escludere una connivenza dei Casamonica con il sistema di Mafia Capitale esclude una ramificatissima rete di usura oppure no, e se reati come “tentata estorsione” (con condanna in primo grado per il padre del giovanotto Casamonica presente a Porta a porta) significhino a meno l’esistenza di un vero e proprio sistema estorsivo. La formula del cosiddetto infotainment (informazione + intrattenimento) è stata un grande successo per la televisione generalista, perché ha creato una formula per discutere in modo leggero di temi non sempre leggeri spendendo poche risorse. Ora la formula mostra la corda.



Quando si hanno di fronte fatti complessi e gravi la stessa atmosfera soft di uno studio azzurro indirizza verso la dimensione dello spettacolo, a sua volta associata a un modo di porgere le domande ammiccante e allusivo, come volendo far ammettere all’ospite ciò che il conduttore giudica di buon senso (“insomma, dai, è un po’ di cattivo gusto…). Il quadro che ne esce è confuso e folcloristico, e l’esercizio di critica, che dovrebbe fornire strumenti all’opinione pubblica, si svuota di ogni principio. Lo si chiami intrattenimento e basta, perché quello è il suo nome.

Stefano Cristante