Frecciarossa: bella lezione di opinione pubblica

di Stefano CRISTANTE
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Sabato 17 Ottobre 2015, 10:58 - Ultimo aggiornamento: 10:59
C’è chi crede che l’opinione pubblica sia “ciò che pensa la gente”. In questo caso basterebbe il lavoro dei sondaggisti per venirne a capo. C’è chi crede che l’opinione pubblica sia un soggetto mitico, una specie di gigante dormiente pronto a un burrascoso risveglio. C’è infine chi pensa che l’opinione pubblica non sia né un oggetto né un soggetto, ma un processo tipico di una società democratica, che ha a che fare con il confronto delle idee e con il conflitto.



Personalmente sono del tutto d’accordo con questo approccio, ispirato alle teorie della complessità.

L’opinione pubblica in questo caso coincide con l’individuazione di un campo problematico attraversato da attori sociali e comunicativi diversi tra loro: quelli che prendono le decisioni (per esempio il decisore politico), quelli che spingono in una direzione ovvero in un’altra (i movimenti di pressione, in genere extra-istituzionali), i mezzi di comunicazione (sia generalisti che specializzati) e l’insieme dei cittadini (su cui ricadrà l’eventuale decisione istituzionale). Dalle interazioni e dai conflitti tra questi attori dipenderà l’esito del processo di opinione pubblica.



Abbiamo in questi giorni a disposizione un caso di studio proprio in Puglia e anzi nel Salento. Si tratta della questione del treno Frecciarossa Puglia-Lombardia che Trenitalia voleva far nascere da Bari e far approdare a Milano (e viceversa) escludendo Lecce. C’era, all’origine del campo problematico, un decisore tecnico-aziendale, cioè Trenitalia. Alla sua decisione si sono opposti vari soggetti (associazioni, sindacati, movimenti politici) ma soprattutto un bel numero di mezzi di comunicazione, tra cui, con un ruolo preminente, il giornale che state ora leggendo.



L’insoddisfazione verso Trenitalia si è trasformata in una costruzione comunicativa, cioè in una campagna, il cui primo obiettivo è stato mettere a disposizione dei cittadini uno strumento sempre più diffuso: la possibilità di firmare on line una petizione.



La rispondenza è stata sin dall’inizio incoraggiante per i promotori: le firme crescevano, mentre la rete degli attori coinvolti si allargava. Di giorno in giorno aumentavano i consensi, individuali e collettivi. La questione riguardava sempre più vistosamente una ricaduta della scelta sul territorio, e si chiedeva che lo stesso governo – sia regionale sia nazionale – si pronunciasse. Uno dei decisori (la Regione Puglia) si è rapidamente mobilitato per spingere verso una soluzione positiva, dicendosi anche disponibile a investire per riparare all’erronea scelta aziendale di Trenitalia. In questo modo un decisore ha abbandonato la postazione della semplice controparte e si è avvicinato a quello dei movimenti di pressione, modificando l’assetto del campo problematico.



Ma il governo (decisore ultimo e finale) nicchiava. La battaglia proseguiva, sorretta quotidianamente da aperture in prima pagina sull’argomento e dalle notizie documentate sull’ingrossamento delle fila dei firmatari dell’appello. Anche la battaglia delle idee proseguiva: ci sono state voci contrarie alla mobilitazione per motivi assai vari, ma intanto il numero delle firme continuava a crescere ben oltre le 20mila (per toccare alla fine quota 30mila), fatto piuttosto nuovo per un conflitto di opinione nel pacifico Salento. Infine, i tre decisori (tecnico, cioè Trenitalia, politico-terrioriale, cioè la Regione, e generale, cioè il governo nazionale) hanno dato vita a un confronto che ha comportato la modifica della scelta iniziale. In tempi che sembrano certi Lecce diventerà il terminale dell’alta velocità ferroviaria che la connette al centro e al nord Italia.



Cosa ricaviamo da questo processo che è anche un caso di studio?

Intanto che la posizione centrale nel percorso conflittuale è stata giocata dall’attore che ha dimostrato maggiore capacità di attivazione: è il ruolo classico dei movimenti di pressione, in questo caso incarnato dai mezzi di comunicazione e da uno in particolare. Specie in un paese desertificato nelle sue spinte politico-culturali, i media possono raccogliere istanze diffuse e farle pesare come fatto comunicativo. Con equilibrio e senza trionfalismi, è un ruolo giocabile. Da un punto di vista di egemonia culturale, il percorso di questa battaglia si può leggere come un intervento che parte da una problematica apparentemente assai limitata e che tuttavia viene colta come un segnale rivolto all’intera comunità. Il messaggio: se, dopo tutte le informazioni sul Salento come meta turistica privilegiata e luogo di dinamismo culturale, Lecce non merita nemmeno un posto sulla mappa dell’alta velocità, il rinnovamento di cui questa terra necessita (prima di tutto nelle infrastrutture) rischia di essere una presa in giro.



I cittadini non solo hanno condiviso questa riduzione di complessità (prima saldatura), ma hanno messo del proprio, come testimoniato non solo dalle firme all’appello ma anche dai testi che hanno inviato alla stampa, molti dei quali erano dichiarazioni d’impegno per fare sì che la battaglia fosse conosciuta e partecipata (seconda saldatura). Tutto ciò ha comportato anche un impegno di numerosi soggetti collettivi nella promozione della campagna (terza saldatura). C’è poi l’aspetto della sostanza ibrida di cui sono fatti i media in questa fase, l’intreccio tra carta stampata e rete digitale.



Quest’ultima è costretta, per sua natura tecnica, ad aprirsi al contributo dei cittadini, che non sono più semplici lettori, ma persone che possono dire sì e dire no, commentare (più o meno educatamente), offrire consigli e soluzioni. Nessuno studioso serio parlerà solo positivamente di internet e dei social media, ma negare una relazione tra reale e virtuale sarebbe sciocco. Infine, i decisori. C’è chi pensa che tutto stia dentro le cornici istituzionali e che il decisore politico – in epoca di crisi della militanza e delle ideologie – possa fare il bello e il cattivo tempo su ogni questione. Il caso Frecciarossa dice che non è necessariamente così, e che il conflitto non è di per sé un male.



C’è un’ultima annotazione da ricavarne: con buona pace della politologia dominante, in questo caso le tendenze alla personalizzazione della politica sembrano sfumare. Il fatto stesso che il volto principale di una campagna sia stato assunto da una testata e non da un singolo rappresentante (politico o d’opinione) ci dice che quando le cose diventano un fatto collettivo le tendenze personalistiche non hanno spazio, mentre la dinamica conflittuale si fa più chiara e visibile. Per chi vive nell’ossessione che l’unico problema della politica sia quello del capo (di partito o di movimento civico poco importa) è una bella lezione di opinione pubblica.