«Il vaccino rende liberi»: il consigliere comunale di Frosinone non sa più come scusarsi, ma l'autore del post se la ride

«Il vaccino rende liberi»: il consigliere comunale di Frosinone non sa più come scusarsi, ma l'autore del post se la ride
di Pierfederico Pernarella
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Giovedì 14 Gennaio 2021, 12:33 - Ultimo aggiornamento: 12:38

Lui che l'ha condivisa non sa più come scusarsi, ma l'autore del post se la ride e invoca la libertà di espressione. Sono le due facce del caso, e più in generale sull'ambivalenza dei social, che ha travolto il consigliere comunale di Frosinone Marco Ferrara finito nella bufera per aver postato su Facebook l'immagine del campo di concentramento di Auschwitz con la scritta «Il vaccino rende liberi», parafrasi della reale scritta, «Il lavoro rende liberi», che accoglieva gli ebrei destinati allo sterminio.

Subito dopo che è scoppiato il caso Ferrara ha rimosso il suo post. Prima il consigliere ha tentato una scomposta difesa - “sono stato frainteso”, “mi hanno strumentalizzato” - poi con il passare delle ore, forse su suggerimento di qualcuno, si è reso conto della gravità di quanto accaduto e lunedì è tornato a scusarsi fornendo anche una testimonianza sul pericolo di perdere il controllo dei social ignorando i messaggi che si veicolano e le reazioni che possono scatenare. Bastano pochi secondi, come ammette Ferrara: «La velocità di condivisione dei post sui social network non mi ha consentito di riflettere adeguatamente, ero troppo concentrato sulla problematica dei vaccini e sulla mia battaglia politica a tutela dei diritti di coloro che non si vogliono vaccinare con i nuovi vaccini anti-covi19, al punto che ho avuto alcuni attimi di scarsa lucidità.

Chiedo scusa a tutta la comunità ebraica per non aver vissuto in quei momenti l'immane tragedia della Shoa e riconosco di avere commesso un errore».


 

Ma se Ferrara, in qualità di consigliere comunale, ha dovuto rendere conto all'istituzione che rappresenta e quindi all'opinione pubblica, la stessa cosa non vale per un comune cittadino che non ricopre cariche pubbliche. In questo caso, a quanto, basta rendere alla propria coscienza. Ecco perché il post originario,  quello di una tale Massimo Angeloni condiviso da Ferrara, continua a campeggiare sulla sua bacheca. Anzi Angeloni, convinto no-vax, si è mostrato parecchio divertito e compiaciuto della polemica.

E coloro che i nei commenti gli hanno fatto osservare l'inopportunità dell'immagine postata, qualcuno la definisce senza giri di parole "una schifezza", Angeloni risponde così: «Per me il vaccino è un campo di concentramento, e siccome posso avvalermi dell'art. 21 della Costituzione antifascista che non è stata ancora abrogata, esprimo il mio diritto di espressione con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».



 

Insomma secondo Angeloni è libertà di espressione accostare la campagna vaccinale allo sterminio di milioni di ebrei. E così la devono pensare anche i gestori di Facebook che non ha ritenuto opportuno rimuovere l'immagine, lasciando irrisolto un interrogativo: la libertà di espressione (i dubbi sul vaccino) può sconfinare nell'offesa e nella derisione gratuita di una una vicenda come la Shoah?  Un campo minato per chi gestisce le piattaforme social. Come dimostra il caso, più ampiamente dibattuto, della decisione di Facebook e Twitter di chiudere l'account dell'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ma questa è un'altra storia, o forse no. 

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