Ucraina, diretta. Esplosione e coprifuoco a Odessa. Missile sulla stazione di Kramatorsk: 50 morti

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Ucraina, la diretta. Il pentagono: «Putin ha rinunciato a prendere Kiev». E gli Usa inviano migliaia di missili Stinger e droni
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Venerdì 8 Aprile 2022, 06:04 - Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 09:09

KRAMATORSK - Aspettavano il treno della salvezza, sono stati investiti dalla morte. A metà mattina a Kramatorsk il massacro è già compiuto: cinquanta civili uccisi, cinquanta vite, principalmente donne e anziani in fuga e anche cinque bambini. Non centravano nulla con il conflitto, volevano solo mettersi in salvo, avevano deciso di abbandonare la loro terra per scappare lontano dall’orrore della guerra. Ma alle 10.35 quello stesso orrore gli è piombato sulla testa: un missile Tochka, forse due, è esploso sopra la stazione ferroviaria di Kramatorsk, nel Donbass. Un missile a corto raggio in grado di trasportare anche testate nucleari: 7 metri di lunghezza e 2mila chilogrammi di morte. Nel piazzale di fronte ci sono ancora i resti dell’ordigno, sul fianco un messaggio eloquente pitturato in bianco: «Per i nostri bambini». Su chi abbia scagliato l’attacco inizia il solito scambio di accuse. La Russia indiziata numero uno, ma fa sapere di aver dismesso quel tipo di missile. 

L’ATTACCO

Il fumo nero è visibile dalla strada sopraelevata che porta verso la stazione di Kramatorsk.

Un fumo denso nero. Julia, una volontaria che si trova lì per aiutare i civili a prendere i treni di evacuazione, manda un video. Dura pochi secondi. Si vedono delle alte fiamme. Come ogni mattina, migliaia di persone sono in attesa di partire, dirette verso l’ovest del paese. In maggioranza donne, bambini e anziani in fuga dall’arrivo dei soldati russi. Le autorità ucraine da giorni hanno chiesto alla popolazione di lasciare la città nel timore che i centri di Sloviansk e Kramatorsk, città strategiche per conquistare la regione del Donbass, diventino il teatro di furiosi combattimenti. Il giorno precedente i russi avevano bombardato la ferrovia e nessun treno era potuto partire. Ma i ferrovieri sono riusciti a riparare i binari. Tre treni possono muoversi. E almeno 4 mila persone sono assiepate davanti alle porte della stazione. Alle dieci e trenta succede il peggio.

LA DISPERAZIONE

È un massacro. Decine di corpi martoriati, feriti, urla, grida di disperazione e di dolore. Sangue dappertutto. Soldati, poliziotti e semplici civili cercano di fare quello che possono per portare aiuto all’enorme numero di persone ferite, tagliate, mutilate dalle taglienti schegge di ferro. Una donna è seduta su un muretto, la testa reclinata da un lato. Sembra stia dormendo. È morta. Una ragazza urla a terra, gli occhi sbarrati, le mancano entrambi i piedi. Il sangue imbratta le pareti, il terreno, i corpi dilaniati e quelli dei moribondi. Una gabbietta con un topolino è rimasta lì, accanto a delle borse piene di vestiti. C’è anche un cane ferito a morte in mezzo alle pozze di sangue e ai resti dei corpi straziati. Per terra i resti delle loro vite. I primi soccorsi arrivano, non c’è tempo per le valutazioni, qualsiasi cosa è buona per fermare le emorragie: pezzi di tela e penne diventano rudimentali salvavita.

 

LE VALIGIE INSANGUINATE

Quello che resta sono i corpi di queste persone innocenti spalmati sulla banchina in attesa di un treno che non arriverà. L’odore di sangue pervade l’aria, ci sono chiazze ovunque. Tra i bagagli abbandonati e le scorte di cibo per il viaggio c’è il peluche insanguinato di una bambina. Il suo corpo giace a terra senza vita. L’ospedale è preso d’assalto. All’inizio si parla di 86 feriti poi si arriva a 300. «Alcuni sono in fin di vita», raccontano i soccorritori. Andry è l’infermiere del pronto soccorso, ci guida fino a una stanza dove i medici stanno facendo il possibile per tenere in vita un uomo e una donna. «Al momento è difficile fare una stima dei feriti e dei morti, stiamo facendo tutto il possibile». Non fa in tempo a finire la frase che il medico dietro di lui si arrende, controlla ancora una volta il polso dell’uomo poi gli stacca la flebo: «Non c’è più niente da fare». Nel letto a fianco c’è Anastasia, 24 anni, alterna grida di dolore a pianti nervosi, ha delle ferite ad un braccio e all’addome ma ci tiene a parlare comunque con noi: «Dovete raccontare al mondo tutto questo». Indica l’amica al suo fianco, anche lei grida dal dolore, ha ferite sul volto e su tutto il petto: «Volevamo scappare da qui, andare verso ovest, verso quella parte di Ucraina ancora in pace». Sono passate solo poche ore dal massacro, è difficile ritornare a quei momenti: «Ho sentito una forte esplosione, ci siamo messi tutti in ginocchio - Anastasia inizia a tremare, il volto è terrorizzato -, c’erano morti tutto intorno a me, non potrò mai dimenticarlo». Halena è rimasta miracolosamente illesa, accompagna la figlia che invece è stata appena operata: «Per favore parliamo piano, sta riposando». Rimbocca le coperte alla figlia e inizia a raccontare: «Avevamo deciso di andare in stazione con largo anticipo, il treno per Leopoli partiva alle 13, noi alle 10 eravamo già in stazione». Meno di 24 ore prima uno snodo ferroviario nella vicina Slovjansk era stato attaccato dai russi, mettendo in ulteriore difficoltà le operazioni di evacuazione dei civili dalla regione. «Eravamo nel parcheggio dei taxi, davanti alla stazione - continua Halena -, ci saranno state almeno 3mila persone. Dopo l’esplosione ricordo solo le urla, il sangue, le auto in fiamme». 

I SOCCORSI INUTILI

Lasciamo madre e figlia a riposare e cambiamo stanza. Veronika è sdraiata sulla barella con una benda sul collo e sangue su tutto il volto. Il marito le tiene la mano per farle forza: «Non ho niente da dire. I russi sono dei mostri. Guardate cosa hanno fatto a mia moglie, ecco come l’hanno ridotta». Lei si gira verso di noi e con voce bassa confessa: «Ho avuto molta paura, pensavo di morire per lo spavento. Adesso temo di addormentarmi e rivivere quella scena nella mia mente». Un militare ci fa segno che è ora di andare. Mentre aspettiamo nel piazzale delle ambulanze le infermiere escono con una barella, anche la donna che abbiamo visto poco prima non ce l’ha fatta. Dopo alcune ore la piazza insanguinata viene svuotata. Poco distante, in una chiesa evangelica, vengono portate centinaia di persone. Non tornano a casa, non vogliono più tornare. Vogliono solo partire, andare via, uscire da questo incubo. Molti vengono portati a Sloviansk con degli autobus, per cercare di proseguire il loro viaggio utilizzando parte della linea ferroviaria, che è ancora integra. Una giornata terribile per questa città, un altro massacro senza senso da aggiungere a questa guerra insensata.

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