Terremoto Albania, i vigili del fuoco italiani: «Così abbiamo trovato la mamma e i figli morti abbracciati sotto le macerie»

I soccorsi a Durazzo
I soccorsi a Durazzo
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Sabato 30 Novembre 2019, 12:22 - Ultimo aggiornamento: 15:47

«Speravamo di ritrovarli vivi, lo si spera sempre e in qualunque situazione, non pensiamo mai che non possa essere così.. Non è andata così, erano lì proprio dove immaginavamo. Tutti insieme, come abbracciati. Nello stesso ambiente, nello stesso posto dove fino al momento della scossa sismica c'era un letto per tutti...C'erano la madre e i tre figlioletti". Nella voce di Nicola Ciannelli, 52 anni, team leader della squadra USAR (Urban search and rescue) dei vigili del fuoco della Toscana, si coglie la commozione mentre racconta all'AGI le ultime fasi del loro lavoro di soccorso a Durazzo, tra le macerie di una palazzina a quattro piani che il terremoto di magnitudo 6.4 in piena notte tra lunedì e martedì ha distrutto. 

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Vediamo i vigili del fuoco mentre lavorano, come fossero “solo” impegnati a spostare macerie, a cercare tra le macerie, pensiamo 'solo' a mani che si fanno largo tra le macerie alla ricerca di una traccia di vita. Ma non sono solo mani che scavano, non sono solo schemi operativi: l'emozione attanaglia anche questi uomini e donne. E trovarsi davanti corpi abbracciati nell'ultimo respiro di vita, turba anche questi professionisti del soccorso.

«È stato un momento oggettivamente difficile per tutti noi - aggiunge Ciannelli - Siamo genitori anche noi e quando ti ritrovi davanti dei bambini ci vuole una grande forza d'animo per andare avanti... È chiaro che speravamo fossero tutti vivi, la mamma e quei tre bambini (due gemelli, un maschietto e una femminuccia di due anni, e la loro sorellina di 7 anni). Ripeto: non pensiamo mai che non possa essere. Poi ti arrendi alla realtà. Il fatto però di averli ritrovati ci ha comunque rasserenati, perché siamo comunque riusciti a restituire in qualche modo quelle persone ai loro familiari».

Il capo team USAR della Toscana spiega che il gruppo di vigili del fuoco - che a Durazzo ha operato insieme alla squadra USAR del Lazio, in turni di servizio che ne vedevano impegnati 20 per volta del totale di 44 - supera questi aspetti emotivi «anche raccontando, tendiamo a raccontare e non a fare i superuomini».

Anche il racconto di un'emozione, anche il cedimento alla commozione finisce con il diventare un elemento in più «per costruire la professionalità. Non c'è da vergognarsi, ci si sostiene a vicenda», specie di fronte a certe immagini. «Sappiamo bene che con il trascorrere delle ore le probabilità di ritrovare persone in vita diminuiscono sempre più, però questo non significa rallentare le ricerche», può esserci ancora vita.

Nella squadra Usar Toscana che ha lavorato a Durazzo, ci sono anche vigili del fuoco che avevano appena lasciato l'A6 dove da domenica a lunedì mattina erano stati impegnati nelle operazioni di ricerca di eventuali dispersi nella frana del viadotto. Neppure il tempo di rientrare e subito una nuova emergenza da affrontare.

«Sono diverse le circostanze in cui operare per noi dei team Usar. Del resto - sottolinea Ciannelli - nei contesti urbani gli insediamenti umani sono tanti. Nella città albanese si è operato come da procedura codificata in ambito internazionale per le ricerche appunto in ambito urbano». E' necessaria sempre la massima attenzione nel limitare il numero di persone che entrano in azione, «bisogna evitare che tutti siano coinvolti in un eventuale crollo».

Fondamentali sono le unità cinofile, come pure le telecamere con braccio snodabile per cercare di individuare persone. Non meno importanti sono i sistemi di rilevamento dei rumori tra le macerie. Si opera con puntelli meccanici per la messa in sicurezza dell'area in cui cercare, «non possiamo permetterci i tempi di un puntellamento classico».

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Ogni sito su cui si interviene ha le sue peculiarità, nel caso di Durazzo «per certi versi questo scenario somigliava a quello di Ischia, dove siamo riusciti a tirare fuori vivo il ragazzo disperso, perché era un edificio isolato. C'era cemento armato, e questo sicuramente ha comportato maggiori difficoltà nel penetrare e cercare» la famiglia Lala. Nel caso in questione è accaduto che a cedere sono stati i muri verticali, i solai si sono come appoggiati l'uno all'altro. A mo' di pancake o di sandwich, è così che tecnicamente viene descritta questa situazione, proprio per dare l'esatta idea di strati uno sopra l'altro, con minimi interspazi.

E in questi margini strettissimi lavorano gli specialisti Usar dei vigili del fuoco. Già nelle prime ore di intervento il portavoce dei vigili del fuoco italiani, Luca Cari, aveva evidenziato come la situazione fosse complicata proprio da questa particolare disposizione dei solai a causa della violenta scossa sismica, rendendo "difficile, molto difficile operare". Eppure alla fine ce l'hanno fatta a recuperare quella famiglia, dapprima il padre e poi, ad ore di distanza, madre e figlioletti. Infine l'ultimo che mancava all'appello, un congiunto dei primi cinque.

"Il nostro lavoro è cercare, cercare, cercare e, quanto più rapidamente, provare a recuperare e salvare", dice Ciannelli, che sottolinea come per lui e per l'intero Corpo dei vigili del fuoco "il sostegno che riceviamo dagli italiani è un onore e uno sprone per fare sempre meglio e mantenere elevati standard di ricerca". Anche se capita di dover cercare solo corpi senza vita.

Adesso ci si accinge a rientrare in Italia. L'Usar è inserito in un meccanismo internazionale di soccorso e la sua presenza sul territorio disastrato finisce quando non ci sono più ricerche da fare, quando arriva il fatidico 'fine ricerche'. Oggi sarà una giornata dedicata a smantellare la base temporanea allestita, i team Usar potranno rientrare. 

La fase di primo soccorso è terminata. La messa in sicurezza delle aree terremotate sarà ora compito delle autorità albanesi, con il supporto internazionale, l'emergenza sarà quella del dopo-terremoto, con il freddo balcanico alle porte. "Il nostro lavoro è così, non sempre fatto di buone notizie...Quella mamma e quei tre bambini erano lì, noi avevamo il dovere di cercarli, volevamo cercarli. Ci siamo comunque riusciti. Non come avremmo desiderato, non come tutti avrebbero desiderato...", commenta Ciannelli. Il terremoto aveva già spento quelle vite. Ma non la tenacia di chi è chiamato a missioni simili: nessuno poteva sapere che non c'era speranza.

E quindi cercare, cercare fino all'ultimo. 

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