di Concita Borreli
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Domenica 7 Marzo 2021, 00:28 - Ultimo aggiornamento: 10:52

«Il mio augurio per chi farà il festival l’anno prossimo? Un Sanremo pieno di gente. Gente anche in mezzo all’orchestra, milioni di persone che si accalcano fuori, dentro. Un Sanremo affollatissimo, ma che possa andare male, malissimo...»

Fiorello come un bambino ferito che impreca contro il compagno cattivo che gli ha fatto male davvero. Ma noi lo comprendiamo e lo scusiamo. Da grandissimo qual è ha vissuto la trappola della deblacle dalla quale non è potuto fuggire. E quindi l’ha fatto: ha lanciato un anatema violento, spiritato, liberatorio contro chi verrà dopo di loro, lui ed Amadeus. Un anatema che ci ha fatto ridere di gran gusto e che solo una divinità come lui avrebbe potuto permettersi. Ma pur sempre un anatema. 

Fiorello non ne fa mistero, parla con il potere. Con lo star system. Con le dirigenze. Con i salotti buoni. Con la gente per strada. Può dire sì, no, mai, tu in, tu out. Ma ieri sera ha usato, da gran teatrante, una violenza inaudita, forse catartica. Come se glielo avessimo chiesto tutti noi! Dillo dillo tu, Fiorello! Come fare festa in questa condizione? 

Dillo che tutti dovrebbero provare le forche caudine della tristezza di cui oggi son fatti i nostri sogni. Grazie d’aver invocato un teatro stracolmo perché significherebbe pandemia finita. Forse non sarà così. Lo chiederemo al professor Crisanti o al suo alter ego Crozza, che non capiamo se quando parla fa giuste previsioni o lancia anche lui anatemi. 

Fatto sta che Fiorello l’ha detto e noi già lo vediamo sulla riva del mare come il cinese (altro anatema) ad aspettare il Sanremo del 2022 dopo essersi caricato di quest’operazione improba.

Immaginate cosa deve essere stato per un mito come lui, uomo che non frequenta la Tv se non in velocissime finestre, che gioca solo con lo schermo, quello piccolo piccolo dello smartphone, lanciando strali dall’Olimpo. Immaginate cosa gli deve essere costato scendere per la seconda volta da lassù per arrivare in Liguria. 

Alberghetto. Ristoranti chiusi. Niente bagni di folla. Niente silenzio in sala perché la sala non ha proprio voce. Immaginate cosa deve essere stato non poter torturare la platea. Specchiarsi nella mediocrità o medietà altrui per accarezzare la sua superiorità. Un’umiliazione che una divinità non può contemplare a meno che non sia Giove ad infliggerla. Fiorello ha capito: la pandemia è Giove. Ed ha obbedito. Ha preso su di sé la maschera amara della battuta senza eco. L’ha accarezzata per tutte e cinque le sere. Si è speso. Si è vestito d’umano ammesso che gli abiti di Achille Lauro siano umani e ci ha fatto compagnia. Cosa avrebbe potuto fare di più?

Ma se Fiorello è divinità ferita dal silenzio triste di un teatro, nessun alibi per canzoni già dimenticate. Stecche, stonature, e voci da talent senza talento.
Poi la magia...Ornella Vanoni. 

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