Sanremo, il caso Venezi/Polemica sterile, le domande sul genere fuori dal tempo

Sanremo, il caso Venezi/Polemica sterile, le domande sul genere fuori dal tempo

di Maria Latella
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Domenica 7 Marzo 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 09:22

«Come devo chiamarla? Direttore o direttrice?». Correva l’anno 2006, ero da poco alla guida di un settimanale femminile, venivo da vent’anni di giornalismo nei quotidiani, ambiente allora molto maschile. «Direttore», rispondevo, anche un po’ aggressiva. Volevano sminuire il ruolo solo perché mi sarei occupata «di cose da donne»? «Come devo chiamarla? Direttore o direttrice?» chiedevano ancora quattro o cinque anni dopo.

«Direttrice», rispondevo. Nel frattempo se n’era andata anche quel vago senso di insicurezza che porta a difendere il territorio magari sbagliando un dettaglio che dettaglio non è. 


Racconto un episodio personale non perché pensi che tra qualche anno Beatrice Venezi risponderà in maniera diversa all’intervistatore di turno essendo cresciuta in saggezza e autostima. La seconda, del resto, sicuramente non le manca. Lo racconto perché sono almeno vent’anni (ma no, di più) che ciclicamente in Italia si dibatte su «ingegnere o ingegnera, avvocata o avvocato?» (mai naturalmente su infermiera o infermiere) e ho come l’impressione di vivere in un infinito «Giorno della marmotta», sempre le stesse domande. Ancora.

Dopo essersi divisi quasi sanguinosamente (nelle chat e sui social) ai tempi della battaglia della Boldrini, sembra ieri e invece succedeva quattro o cinque anni fa. L’interrogativo, in fondo, è quello che mi pose con sincera curiosità una giornalista americana nell’anno di grazia 2016: «Perché le donne italiane dibattono di temi che negli Stati Uniti abbiamo risolto da tempo?».


Oggi, nel caso specifico, si potrebbe rispondere: perché a Sanremo 2021 ti chiedono ancora se vuoi essere chiamata direttore o direttrice.

In inglese esiste il genere neutro e il problema non si pone. Ma il punto è che, nel 2021, una giovane donna considera ancora importante definirsi al maschile. E’ la fotografia di un Paese che, nonostante le chiacchiere, fa di tutto per rallentare l’arrivo del giorno in cui una ragazza non dovrà nemmeno pensarci su un momento. E finalmente nessuno glielo chiederà. Conosciamo le obiezioni. Presidente non si può sentire. Sindaca è cacofonico. Cacofoniche sono un numero infinito di parole, per esempio pantomima, ma ci siamo abituati. In Francia dicono madame la presidente e se ancora qualcuno gioca sul doppio senso di architetta (ah che ridere), io a tredici anni mi divertivo un sacco quando sentivo dire «membro del gabinetto».


Detto come la penso, non ne farei una guerra per bande. Intanto perché Beatrice Venezi ha tutto il diritto di farsi chiamare come meglio crede. È vero, le chat ribollono d’indignazione perché lei, che aveva a disposizione una platea di milioni di telespettatori e chissà quante ragazzine ad ascoltarla, ha mandato un messaggio diseducativo, per dirla con Lella Golfo della Fondazione Bellisario. «Cancella anni di lotte», protestano in tante. Io credo di no. Non sono d’accordo con Beatrice Venezi ma non credo che sposti proprio niente. Sarò un’inguaribile ottimista, ma alle ragazzine telespettatrici di Sanremo è piuttosto arrivato un altro messaggio. Si può dirigere e non essere dirette. 

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