Risposte mancate/ Si torna in classe: stessi problemi dell anno passato

Risposte mancate/Si torna in classe: stessi problemi dell’anno passato

di Paolo Graldi
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Domenica 11 Aprile 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 00:07

Domani ritorno in classe per sei milioni e mezzo di alunni, il 77 per cento del totale di iscritti alle scuole statali e paritarie. Per otto allievi su dieci ritorno alle lezioni in presenza, sì, ma come, in quali condizioni?

Aprile 2020: inizio dell’annus horribilis del virus, questo maledetto sconosciuto che si è abbattuto su tutto e tutti flagellando dove poteva nello smarrimento generale. Ci ha colto impreparati, a mani nude: se ne sapeva poco, anzi quasi niente anche se poi si è fatto molto per capirne di più.

Aprile 2021: un anno dopo, a che punto siamo? Abbiamo presidi attrezzati, il vaccino (almeno quando è disponibile), mascherine a volontà, tamponi facili e persino cure più efficaci. Soprattutto abbiamo cinque vaccini variamente distribuiti, tutti efficaci, pur tra polemiche e contraddizioni. E allora? Allora non si può dire che siamo tanto più avanti se tra poche ore le scuole riaprono e viene da osservare, con rammarico e preoccupazione, che in un anno è cambiato poco o nulla. In un clima costellato da dibattiti tra esperti sempre in disaccordo, e poi strappi, convulsioni e giravolte d’ogni genere.

Un anno durissimo per chi nel mondo della scuola vive, lavora e studia. Il rush di fine stagione si annuncia incerto e denso di ragionate inquietudini. C’è il fondato timore che lo scatto d’iniziative sulla prevenzione sanitaria e sulla messa in sicurezza di personale, allievi, ambienti e trasporti sia rimasto pressappoco all’anno zero. La distribuzione generalizzata e gratuita delle mascherine è tenuta sovente nel cassetto dei desideri; il distanziamento nelle aule solo dove si può e si può in un numero limitato di edifici mentre si discetta ancora sui famigerati banchi a rotelle, stigma di una passata gestione commissariale della pandemia. La buona volontà c’è ma contro il Covid-19, s’è visto, non basta. Accanto alla correttezza dei comportamenti individuali le strutture dovranno fare la loro parte.

Presto, subito. Così come anche il capitolo dei trasporti pubblici sicuri andrà affrontato con soluzioni efficaci e non con palliativi e dove l’ostacolo si aggira con un consiglio a genitori: portate i figli a scuola, con la vostra auto e mascherine indossate! 

E’ vero, ottocentomila su un milione i vaccinati tra professori e addetti, almeno con una dose, ma la platea dei soggetti a rischio virtuale è di quasi dieci milioni. In attesa, fiduciosa attesa. Dunque, siamo lontanissimi dagli standard di sicurezza auspicati per decidere un abbandono quasi generalizzato della Dad, certo defatigante per studenti e insegnanti e tuttavia in taluni casi scudo a protezione individuale indispensabile. 

Mentre in Germania viene disposto l’obbligo per tutta la popolazione della scuola di sottoporsi a test antigenici gratuiti ogni quindici giorni, da noi l’ipotesi di adottare questo filtro è rimasta sulle carte ministeriali. E lì ancora giace in attesa magari che, chiusi i corsi per quest’anno, non sia più d’attualità. La raccomandazione del premier Draghi va raccolta e attuata: occuparsi subito e intensamente della scuola, del recupero possibile dei mesi perduti e della cura di quella ferita psicologica che si chiama straniamento scongiurando un costo sociale fattuale e futuro incalcolabile. Sì, perché, un anno dopo l’avvio di questa indicibile tragedia il mondo della scuola sembra aver bisogno di una terapia d’urto d’insieme. E’ proprio il caso di rileggere e tenere a mente le parole di Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori della Repubblica: “Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte Costituzionale”. Sì, caro Calamandrei, a lungo andare.

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