di ​Mario Ajello
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Martedì 26 Gennaio 2021, 00:10

Nel momento in cui l’Italia ha bisogno più che mai di Roma, per la ricostruzione nazionale, torna lo stereotipo più anti-storico e penalizzante. Ovvero quello di Roma Ladrona. Riformulato così dal presidente lombardo Fontana e dal settentrionalismo erroneamente sollecitato per avere consensi a buon mercato: «Roma la smetta di calunniare la Lombardia, per coprire le proprie mancanze».

In realtà - e stiamo parlando del pasticciaccio tutto lombardo dei numeri sballati che hanno fatto finire quella regione in zona rossa - il “dagli alla Capitale”, vecchio slogan fuori tempo massimo e senza costrutto, serve per scaricare su Roma responsabilità e inefficienze che, dall’inizio dell’emergenza sanitaria e in questo caso ulteriormente, sono da addebitarsi alla mala gestione locale della lotta alla pandemia. 

Ecco, si usa Roma - come se il leghismo anni ‘90 potesse avere un revival, quando invece andrebbe relegato negli scantinati del passato meno presentabile - per coprire difetti e miopie che con Roma non c’entrano. E quando si attacca in questa maniera si fa una confusione facilmente confutabile. Si identificano con la città di Roma e con i romani le istituzioni politiche - il governo, i ministeri, il Parlamento - che sono localizzati a Roma ma sono popolati per lo più da non romani. 

Si getta la croce, alla rinfusa, su una comunità e su una cittadinanza che non coincide con il Palazzo e che viene presa a bersaglio sulla base di una semplificazione che non fa onore a chi la pratica per ignoranza o per strumentalizzazione. 

Si parla assurdamente di «sentimenti contro la Lombardia», che avrebbero nella Capitale la loro culla, per non dire la verità e per coprire, sotto una coltre di pregiudizi, responsabilità di marca Pirellone. E questa ideologia anti-romana è una di quelle scorie della modernità che si pensava dovessero essere seppellite per sempre. Invece rispuntano aggravando di sotto-cultura e di pseudo-politica un Paese che avrebbe bisogno di chiarezza e di pragmatismo e non di distrazioni propagandistiche. Identificare Roma e quindi i romani come la palla al piede di una nazione, che altrimenti funzionerebbe al meglio, è un’impostura figlia di impostazioni stantie e suicide - l’idea di una «piccola patria» non bisognosa di un mito come l’Urbe e di un motore come questa metropoli che riassume l’Italia - e non si tratta, appunto, di personificare questo caso sul solo Fontana. Ma di segnalare quanto i residui di un settentrionalismo a vanvera, agitati per muovere una parte d’Italia contro l’altra, possono essere pericolosi sempre e anche in una fase come questa in cui occorre un surplus di compattezza e non servono le pretese di presunta superiorità nordista, oltretutto senza riscontri fattuali.

Roma come la sentina di ogni male e come la pietrificazione di tutto ciò che non va può valere al massimo come una barzelletta mal riuscita.

Roma come alibi per gli sbagli degli altri non solo è un’offesa a milioni di persone che qui vivono e lavorano - e in più pagano di tasca propria i costi di una città che serve a tutta la nazione e ne è il grande palcoscenico con i prezzi che questo comporta - ma è insieme il portato di una lunga predicazione anti-romana che deriva sicuramente da certo nordismo e però affonda in tanta cultura non patriottica che anche a sinistra ha prosperato e in fondo si annida ancora.

Minimizzare Roma come reazione alla mitologia di Roma nel Ventennio e abbassarne sempre e comunque il rango. Ecco che cosa ha gravato sulle sorti della Capitale. C’è un libro molto importante del 1975, intitolato “Contro Roma” e di recente ripubblicato, che è emblematico di questo discorso e raccoglie i massimi esponenti della cultura italiana di quel tempo e tuttora in tanti casi venerati (da Moravia a Piovene, da Soldati a Montale, da Siciliano a Parise). E lì, Moravia ha riassunto l’umore collettivo: «L’Italia non si è espressa a Roma; vi si è invece trovata repressa». Possono ancora avere corso castronerie di questo tipo? Ce l’hanno, eccome. Ma soltanto contrastandole e rimuovendole si può sperare di dare a questo Paese una chance nella risalita post-pandemia. 

I luoghi comuni e i pregiudizi dovrebbero aver fatto il loro tempo. Roma come Capitale necessaria, Roma come Italia e già Dante aveva avvertito l’ineluttabilità di questa reciproca identificazione, dovrebbe valere da punto fisso e da indubitabile certezza. Senza folklore padanista e revanscismi da «piccole patrie» territoriali che tengano. Ma purtroppo non è così. Non sempre la storia fa giustizia dei propri abbagli. E ci ritroviamo a parlare della riedizione lunare di Roma Ladrona. Quando basterebbe guardare Roma per quello che è - un grande statista come Francesco Saverio Nitti la considerava l’unica cerniera capace di fare stare insieme un Paese che «una metà lo chiama pesce e l’altra metà uccello» - e vedere come la locomotiva Nord, non tutto ma quello più rivendicativo e meno performante, non faccia che sbandare.
 

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