Cosa rimarrà, e cosa avremo perso per sempre dopo la morte di Gigi Proietti? La cosa più impressionante di queste ultime giornate è che decine di migliaia di persone hanno postato e diffuso una foto che le ritrae con Proietti. Ovvero, con una persona che aveva una propria altezza intellettuale e una rara forza carismatica sulla scena, eppure mai si sottraeva al contatto, al sorriso, alla battuta (tutt’altro che scontata) con chiunque lo avvicinasse. Questo tratto personale, di relazione e presenza scenica, anche nella scena della società, non potrà essere sostituito. Mancherà per sempre.
La novità e la profondità della presenza umana si caratterizzano grazie alla parola, all’espressione rivolta all’altro. Qui si è trovato il tratto più originale del teatrante, dell’interprete, del doppiatore, del Maestro Proietti. E qui troviamo la singolare capacità di Proietti di far rispettare Roma anche quando non era amata, anche da parte di chi pubblicamente la contestava e, intimamente, non le riconosceva la sua unicità ed universalità. Quella parola - che fosse un monologo, o un dialogo, o una rappresentazione, oppure la lettura dei nostri grandi, dal Belli, a Pascarella, e dei nostri ispirati divulgatori, da Trilussa a Petrolini - era capace di far tacere le ostilità. Silenzio, ascoltate e riflettete: così parla Roma. Una romanità per niente dialettale, seppure veicolata con tutte le sfumature romane e romanesche; della romanità dolente, gaudente, sospettosa, sfidante, scontenta, dell’ira o del rimpianto, dell’amore o del tradimento. Dunque, silenzio da Aosta a Lampedusa, quando parlano questa tradizione e queste novità. Nessun altro ci riusciva, da quando sono scomparsi i grandi maestri, creatori ed interpreti del Dopoguerra.
Cosa ci resta? Certo, un patrimonio audiovisuale che ha sorpreso molti, in questi ultimi giorni in cui tutte le televisioni hanno fatto a gara per riproporre le performance di Proietti. “Ammazza, ma quante cose aveva fatto?”.
Quelli che hanno pianto sinceramente in questi giorni. Che hanno un’esperienza da raccontare, un insegnamento e un apprendimento da non dimenticare. Questa è la vera sfida: qualcuno sarà all’altezza? Chi conosce un poco la storia dell’Arte e delle Arti, sa bene quanto sia raro che un Maestro abbia veramente un erede-successore. Ciò che meglio ha funzionato, spesso alimentando la qualità creativa e l’integrazione, sono state le ‘botteghe’. Oggi, le filiere produttive. Dunque, se non ci sarà una persona legittimata ad alzare un testimone e dire “sono io il successore di Proietti”, molto meglio sarà ricercare nel percorso futuro di talenti e protagonisti della scena teatrale e audiovisiva ciò che grazie a Proietti hanno imparato e trasformato in modo originale. Scopriremo domani, magari, colui o colei che potrà meritare una parte della sua eredità.