di Paolo Graldi
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Martedì 6 Aprile 2021, 00:10

La campagna dei vaccini, con la solenne promessa governativa delle cinquecentomila dosi quotidiane somministrate, va a rilento. Delude e preoccupa. Si discetta con il concetto che si tratta di una guerra, ma non se ne scorge per intero il clima che da questo concetto dovrebbe assumere rigore e determinazione. Siamo a metà strada rispetto all’obiettivo. Inciampi, inghippi, intoppi, ritardi: la macchina, per le ragioni più svariate, “va al trotto ma servirebbe il galoppo”, avverte il professor Fabrizio Pregliasco che sorveglia, presente su tutti gli schermi tv, l’andamento della pandemia.

Nel frattempo, dai vertici delle operazioni anti-Covid, si annuncia l’atterraggio di aerei stipati di vaccini di qualsiasi marca e, per metà aprile, salvo imprevisti, anche mezzo milione di dosi di quello americano monodose. Senonché, è ormai chiaro che difficilmente entro l’estate avremo raggiunto l’agognata immunità di gregge e, come denuncia un rapporto riservato Ue, l’Italia a giugno sarà appena al 57 per cento mentre dovrebbe superare l’80 per cento. Come se non bastasse arrivano notizie dall’Olanda e dalla Germania su nuovi casi di trombosi sospette a seguito di inoculazione di vaccini AstraZeneca, e solo ieri - come racconta questo giornale - l’Ema ha fatto trapelare qualche dubbio sullo stesso siero, con un ritardo del quale sarebbe interessante capire le cause. 

Ecco che il polverone, la tempesta permanente delle voci, s’infiltra nella macchina complessa e delicata delle vaccinazioni, come sabbia nei suoi ingranaggi. Promesse intempestive, talvolta esagerate e perfino ridicole, magnifici scenari di soluzioni a portata di vista, prospettive di fine del tunnel delle clausure imminenti, l’idea di metterci a fabbricare vaccini in poche settime senza dover aspettare le Big-Pharma. Pressappochismi di chi finge di ignorare la grande complessità che richiede la produzione di un vaccino. Insomma, tra la scarsità dei vaccini, i vaccinandi che non si trovano o non si cercano e i vaccinatori che non bastano a reggere l’urto della domanda ecco che il quadro d’insieme si va a sommare ad una reale stanchezza del Paese e ad un’economia, in certi settori, obiettivamente allo stremo.
Occorre adesso, per obbligo di serietà nei confronti degli italiani, riprendere le linee di condotta già inaugurate con pacata determinazione dal presidente Mario Draghi e attuare una politica della comunicazione ispirata solo alla verità dei fatti, per complicati che essi siano. Quella verità che per essere espressa ha bisogno di poche parole, che non è mai inquinata dal senso cangiante e dalla ricerca di facile consenso, dalla coloritura che conviene darle, a seconda se serva accentuarla o sfumarla. Non c’è alcun bisogno di enfatizzare i successi e di minimizzare gli errori, di lanciarsi in dichiarazioni che prediligono il dato preventivo, la promessa, al risultato dei fatti compiuti.

Si sarebbe tentati di dire, con un paradosso, che siamo ormai tutti adulti e vaccinati: non c’è bisogno di indorare la pillola.

Certo, bisogna evitare errori che neanche un bambino commetterebbe, saper prendere decisioni ragionate e ragionevoli: non come la riapertura delle scuole per due giorni a ridosso del ponte pasquale che è apparsa sciagurata e improvvida, o i viaggi all’estero in presenza di zona rossa in tutto il Paese. Bisogna affrontare a chiare linee, valide per tutti e senza eccezioni, le scadenze e le fasce di cittadini chiamati dalle Asl e non affidarsi come è accaduto a scelte che risentono di pressioni politiche e corporative, a scapito di chi certamente è più esposto ai gravissimi rischi connessi alla malattia indotta dal Covid. La tragicomica vicenda di “Aria”, la società della Regione Lombardia che avrebbe dovuto gestire la organizzazione dei vaccini, ed ora soccorsa da Poste Italiane che organizzerà i flussi e gli afflussi agli hub, si è dimostrata catastrofica per un uso demagogico, politicante e sconsiderato di un potere delicatissimo, quello che incide direttamente sulla salute della gente. Eppure valanghe di parole, per giorni, hanno cercato di nascondere ciò che le immagini di tutti i tg documentavano: gente chiamata che non trovava vaccini, gente mandata a vaccinarsi a centinaia di chilometri di distanza, quasi sempre persone anziane, ultra-ottantenni. Un giorno qualcuno calcolerà i danni, i rischi, oltre che i lutti di queste lacerazioni al tessuto che le istituzioni dovrebbero stendere a protezione della comunità. Non deve più valere l’argomento che gli errori derivano dal Covid, questo sconosciuto, per combattere il quale si precede per tentativi, sperimentando soluzioni, alla ricerca del meglio da fare. Le decisioni operative, ormai, vanno prese sulla base di protocolli consolidati e su esperienze importate dall’estero, o replicando nostre soluzioni di successo.

Alla nuova stagione della comunicazione intestata alla verità e non alla convenienza dovranno partecipare davvero tutti, compresi gli esperti. Gli scienziati che spiegano, ma anche litigano, si dividono e alla fine confondono chi ascolta i talk show: un virus, già noto, talvolta più pericoloso del Corona stesso, sembra aver infettato alcuni di questi esperti, più sensibili all’esibizione muscolare, dileggiante, che al dovere di spiegare al grande pubblico la complessità del fenomeno. La speranza è che l’asciuttezza ed il pragmatismo del premier e delle sue enunciazioni, questi sì, risultino contagiosi.

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