di ​Mario Ajello
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Martedì 15 Settembre 2020, 00:54 - Ultimo aggiornamento: 10:57
Questa foto farà il giro del mondo. Diventerà un’icona. Un simbolo. Una vergogna. Non se la meritano i bambini ritratti in questa immagine - un’intera classe genovese con gli alunni in ginocchio che usano le sedie come banchi perché i banchi non ci sono - e non se la merita il nostro Paese che esce molto male da questo scatto. Non viene, guardando la scena, da lanciare un grido di indignazione a vanvera o da stilare un volantino politico. Viene da pensare, con profonda tristezza, che quell’aula racconta un’Italia in ginocchio. Il preside Renzo Ronconi dell’istituto Castelletto può pure - come ha fatto - assicurare che andrà tutto bene e che i banchi anti Covid comunque sono in arrivo nelle prossime ore, ma la foto choc è quella che è e che non avremmo voluto vedere mai. Subito è scattata la polemica partitica. Così: è un attacco al governo, infatti l’ha postata su Facebook il presidente regionale ligure, Giovanni Toti, che è di centrodestra, a pochi giorni dal voto amministrativo.

E però la foto, al netto di tutto, va guardata per quella che è perché è una foto che parla da sé.  Non ci sono i banchi né le rotelle in questa immagine, ma soltanto le rotule dei bimbi. E  la scuola, in un Paese civile, non può e non deve ridursi a questo. Alla rinuncia a quei principi fondanti della nostra comunità nazionale, per cui l’istruzione è il motore del progresso e degradarla così è un regresso che non si può accettare.  Un’aula senza banchi non è un’aula. Una scuola che abdica alla propria dignità tradisce la sua missione: quella di elevare e non di abbassare, a livello pavimento, chi la frequenta. Fa male come ex alunni, come genitori, come italiani, una foto così.

E se la ripresa post-Covid «per cui tutti facciamo il tifo» (cit. ministra Azzolina) è questa, viene proprio da preoccuparsi. E tanto più perché, nel complesso, durante la fase dell’emergenza virus più dura, il nostro Paese e la nostra classe di governo non hanno sfigurato.  Ora però questo tuffo carpiato all’indietro nell’inefficienza più evidente non può essere minimizzato. Va preso come monito e come allarme, per una battaglia per il futuro che richiede concentrazione massima e non può ammettere defaillance macroscopiche come questa. In cui viene a fuoco l’Italia che non serve a se stessa e che umilia le sue giovani generazioni, tarpandosi così le ali. Non è sulle ginocchia dei bambini che deve poggiare concetti, evidentemente malintesi, purtroppo, come ripartenza e ricostruzione. Anzi, trattandosi di proiezioni verso il futuro devono prevedere un investimento vero, a cominciare dai servizi, dagli strumenti e dagli edifici didattici, sull’istruzione.  Spesso, crescendo, ci si dimentica di ciò che si è appreso sui banchi di scuola. Ma certamente, per i bambini di Genova e per tutti gli altri nelle loro condizioni, sarà impossibile dimenticare di ciò che hanno appreso trovandosi senza il banco. Hanno imparato a non fidarsi. E questa è la lezione più amara che possa esserci.
 
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