di Massimo Martinelli
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Giovedì 23 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 29 Settembre, 23:35

Mancano dieci giorni al momento in cui i romani saranno chiamati a disegnare il futuro di questa città con il loro voto. Il prossimo sindaco può infatti rappresentare il punto di svolta per la storia di Roma, per una sorta di configurazione astrale favorevole che allinea uno dietro l’altro una serie di eventi in grado di promuovere la Capitale nell’olimpo delle metropoli mondiali: il flusso di fondi del Pnrr; il Giubileo del 2025; il Bimillenario della crocifissione di Cristo nel 2033.
Senza mettere nel conto la candidatura di Roma per l’Expo 2030.

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Significa che il prossimo sindaco dovrà trasformare una città che solitamente va in tilt se scioperano gli autobus in una metropoli in grado di assorbire con agilità l’impatto di molte decine di milioni di turisti nell’arco di pochi mesi. 
Significa, per essere espliciti, ripensare il concetto stesso di città: le sue infrastrutture, le procedure amministrative, la delocalizzazione dei poteri verso i municipi (che per popolazione ed estensione sono anche più ampi delle altre province del Lazio).

E, ancora, significa riscrivere la rete dei collegamenti con le altre città, gestire digitalmente i dati di una popolazione che, per un anno intero, sarà doppia rispetto a quella normale. 

 

Di tutto questo dovrà farsi carico il prossimo sindaco, il cui nome uscirà dalla contesa elettorale dei prossimi 3 e 4 ottobre e dal ballottaggio che si terrà quattordici giorni dopo. I quattro candidati principali si sono confrontati ieri nel corso di un dibattito davanti alle telecamere nei saloni del nostro giornale: hanno scelto Il Messaggero per l’unico vero dibattito sui temi e sulle strategie e il livello di civiltà del confronto, l’assenza di scontri dialettici e di polemiche ha contribuito a rendere più chiare le posizioni di ognuno e ad aiutare i nostri lettori e videoascoltatori a calibrare le loro scelte.

Inevitabilmente la gran parte degli interventi è stata dedicata ai problemi atavici di Roma: i rifiuti, le strade, il degrado urbano. Tutti i candidati - con qualche distinguo - si sono detti consapevoli della necessità di liberarsi in breve tempo di questo fardello che appesantisce l’immagine di Roma, anche ricorrendo ad una task force con fondi e poteri speciali che in pochi mesi riporti la città in una dimensione normale con una grande campagna di “normalizzazione”.

E ancora, tutti i candidati hanno condiviso l’angolo di visuale che questo giornale, più volte, ha proposto agli amministratori comunali: quello di superare il concetto di emergenza e di puntare al palcoscenico mondiale, sfruttando le infinite potenzialità della Capitale per farla tornare ai vertici delle classifiche in cui si misura la vivibilità e il benessere delle metropoli del pianeta.

Quello che nessuno dei candidati ha voluto svelare è il programma concreto: di là delle affermazioni condivise su quello che è necessario fare (più turismo, rilancio degli investimenti e dell’immagine della città, sviluppo dei poli economici e culturali), nessuno di loro ha indicato le strategie, i nomi delle persone che intendono cooptare in caso di elezione, i tempi e i margini di riuscita della loro operazione rilancio. 

Mancano dieci giorni al voto e probabilmente nessuno di loro ritiene conveniente scoprire adesso le proprie carte. Ma se invece non esistesse ancora un piano operativo, se non si fosse ancora compresa l’eccezionalità dell’occasione che si presenta per questa città, allora ci sarebbe di che preoccuparsi. I romani sono esasperati, non meritano una (ennesima) presa in giro. 

Non resta che auspicare quindi che prima del voto i candidati che si propongono di guidare la rinascita di Roma indichino come e con quali professionalità intendono realizzare i loro programmi. Sarebbe un segno di rispetto per tutti gli elettori.

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