di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 15 Luglio 2020, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 10:14
In questi anni di relazioni strutturali con gli altri Paesi europei aderenti all’Unione, ben esemplificati dai ripetuti scontri e successivi accordi sui vincoli di bilancio, molti italiani si saranno fatti l’idea che nel continente sono presenti una serie di Paesi egoisti e rigoristi che, di fatto, costituiscono un freno alla nostra politica economica e al nostro sviluppo. E questa impressione potrebbe essersi acuita nelle ultime settimane, quando, sotto la pressione dell’emergenza sanitaria, i cosiddetti “falchi” europei continuano a negare aiuti ormai accettati e anzi sponsorizzati dalla stessa Germania, che avara di critiche nei nostri confronti non lo è mai stata ma che oggi è in prima linea per realizzare il tanto atteso e necessario Recovery Fund.

Eppure, se dovessimo chiedere agli italiani quali siano i mali del nostro Paese, probabilmente – e molto onestamente – sarebbero lo stato della giustizia civile, la burocrazia eccessiva e l’evasione fiscale ad occupare i primi posti tra le risposte più frequenti. È ben difficile sostenere che siano mali che dipendono dall’Europa. Infatti, quando si parla di costi della burocrazia, il pensiero corre a problemi come i ritardi nella realizzazione di opere pubbliche (soggetti anche alle debolezze della politica nei confronti dei piccoli localismi, a dire il vero), la moltiplicazione degli adempimenti per le attività private, l’incomprensibilità di procedure che sembrano fatte apposta per mettere in difficoltà i cittadini che le vogliono seguire. 

Sui costi dell’evasione, forse, non serve nemmeno commentare: si tratta di risorse banalmente sottratte al finanziamento dei servizi pubblici di cui tutti, anche gli evasori, godono. Certo, del fisco sono indubbie anche le prevaricazioni: la sua invasività nella vita quotidiana, le sue distorsioni indotte nell’attività economica (che tanto impattano sulla profittabilità delle imprese e sul livello di occupazione), la sua inflessibilità quando vengono commessi errori da piccoli contribuenti.

Se questi tre difetti - e sono solo i più evidenti - giustificano pienamente un dibattito aperto e alla luce del sole sulla necessità di riformare il sistema tributario, non possono giustificare chi, di nascosto, scarica sugli altri la propria disonestà fiscale. Per non dire, infine, di una giustizia civile che oscilla tra due grandi estremi, entrambi alquanto viziosi: quello dell’accanimento e dell’invasività, spesso su grandi questioni economiche o industriali, e quello della massima tutela dell’accusato, spesso in cause che riguardano comuni cittadini truffati e che non saranno mai risarciti. Commissioni tecniche, ricercatori e Corte dei conti valutano questi costi nell’ordine delle centinaia di miliardi all’anno. Per avere un termine di paragone, basti ricordare che il tanto dibattuto Recovery Fund varrebbe, per la quota composta da trasferimenti a fondo perduto al nostro Paese, circa 80 miliardi di euro, fruibili a rate nel corso dei prossimi anni. Vale a dire solo una parte modesta delle risorse che il nostro Paese getta via annualmente con regolarità e, tristemente, anche con ostinazione. E di cui fa le spese tutto il sistema.

Comprensibili quindi, anche se assolutamente non condivisibili in questa drammatica fase di emergenza sanitaria, le resistenze dei “falchi” europei per gli aiuti al nostro Paese, visto che a molte più risorse potremmo facilmente attingere se solo non le sprecassimo con le nostre mani. Non si tratta certo di accettare commissariamenti, più o meno impliciti, del nostro Paese; bensì di riconoscere che esistono vaste aree di possibile miglioramento e che su queste materie la competenza è totalmente interna. Chiedere e pretendere aiuto, come sta giustamente facendo il nostro governo, non può prescindere da una seria autocritica e da una consapevole assunzione di responsabilità. Anzi, senza la stessa, il rischio che la nostra posizione negoziale si indebolisca è ancora più forte, perché la nostra credibilità sarebbe inferiore. 

Certo, ci vogliono visione di lungo periodo, coraggio, competenza. Qualità che non sempre caratterizzano la nostra classe politica. Ma non si può lasciare un Paese appeso alla buona volontà dei suoi cittadini e all’onestà dei suoi contribuenti. Queste sono naturalmente condizioni necessarie per una convivenza civile, ma non possono diventare scuse – o speranze – per l’ignavia della classe politica. Chi volesse migliorare le prestazioni della propria automobile deve curarne la trasmissione, rabboccare i liquidi mancanti, sostituire i pezzi usurati, non certo solo lavarla e profumarla internamente. Se non capiremo che la stessa ricetta si applica anche a un Paese in difficoltà, se non ci convinceremo che per migliorare il Paese si devono innanzitutto riconoscere e affrontare le proprie debolezze, nessun aiuto esterno sarà mai risolutivo.
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