Oltre le quote rosa/ Quelle otto ministre che rottamano le correnti di partito

Oltre le quote rosa/ Quelle otto ministre che rottamano le correnti di partito

di Marina Valensise
3 Minuti di Lettura
Sabato 13 Febbraio 2021, 23:51 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 10:11

Otto su ventitrè. Non siamo al cinquanta per cento, come sarebbe giusto che fosse, ma le otto donne nel governo di Mario Draghi fanno onore all’autonomia di scelta del neo presidente del Consiglio, forse anche del presidente della Repubblica, e alle indicazioni dei partiti che compongono la nuova maggioranza.

Nel plauso generale l’unica perplessità, a dire il vero, riguarda i partiti della sinistra. A dispetto della conclamata politica a favore della parità di genere, delle quote rosa, dell’attenzione per i diritti civili e per i temi dell’eguaglianza, Pd e Leu, infatti, sembrano avere qualche difficoltà a passare dalla teoria ai fatti. Certo dal dire al fare c’è di mezzo il mare, e il passaggio non è mai scontato. 

E’ un fenomeno che stupisce davanti alla disponibilità mostrata in senso simmetrico e opposto dai partiti del centrodestra. Forza Italia per esempio fra i tre ministri a disposizione ha scelto ben due donne, Mariastella Gelmini per gli Affari regionali e le autonomie e Mara Carfagna per il Sud e la coesione territoriale. In lizza c’era anche Antonio Tajani, ma all’ultimo momento Silvio Berlusconi in una delle sue sorprendenti variazioni dell’ultim’ora ha pensato bene di subordinare il suo fedelissimo alla promozione della vice presidente della Camera, la quale peraltro, pur venendo dal suo inner circle e pur godendo della stima del Cav, ha sempre dato prova di indipendenza di giudizio e di autonomia politica. E non solo mantenendo a Montecitorio la barra dritta sul principio delle garanzie costituzionali, per contrastare la deriva tribunizia di Matteo Salvini in torso nudo al Papeete. 

Ricorderete anche la tenacia con cui Mara Carfagna, da ministro per le Pari opportunità del quarto governo Berlusconi, sostenne la legge contro il reato di stalking promuovendo una campagna di comunicazione contro la violenza sulle donne e addirittura lanciò la prima campagna del governo italiano contro l’omofobia e la violenza fondata sull’orientamento sessuale.

Scelte forti su temi bipartisan che lasciano ben sperare sulla libertà di visione e sull’assenza di pregiudizi necessarie ad affrontare con fantasia la rinascita del Sud, per sbloccarne l’atavico ritardo.

E invece a sinistra, lungi dal confrontarsi su temi ad alto impatto civile, sembra aver prevalso l’unica preoccupazione di assicurare la presenza nel governo dei tre capi corrente del Pd, e in particolare Andrea Orlando, neo ministro del Lavoro per l’ala maggioritaria dei dem, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che è a capo della minoranza di ex renziani, e per fortuna Dario Franceschini, che ha alle spalle la corrente degli ex democristiani e dell’ex Margherita ed è uno dei migliori ministri della Cultura degli ultimi decenni, anche se ora dovrà rinunciare al Turismo.

Intendiamoci, nessuno discute il merito della scelta o il valore dei ministri del Pd, che in passato hanno dato prova di competenza e sicura affidabilità. Ma è triste constatare che il principale partito della sinistra italiana sia sguarnito al suo interno e nel gioco delle sue correnti di donne in posizione apicale, passibili di partecipare al governo della nazione. 

Quanto alla scelta di merito, è giusto segnalare che persino il partito di Matteo Renzi, Italia Viva, nato da una costola del Pd, ha dato buona prova di sé, rinunciando a far entrare nel nuovo governo Maria Elena Boschi per mantenere invece il ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti. Se a destra persino la Lega ha cooptato per il ministero delle Disabilità una donna come la moderata Erika Stefani, ex ministro per gli Affari regionali, c’è da chiedersi quali ostacoli, quali freni inibitori impediscano alla sinistra di praticare la parità di genere nella selezione delle classi dirigenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA