di Gianfranco Viesti
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Sabato 18 Luglio 2020, 00:01
L’ economia italiana è ancora soggetta ad incertezze molto ampie, collegate sia all’andamento della crisi sanitaria, sia alle decisioni di politica economica, incluse quelle che si sta provando a prendere a Bruxelles in queste ore. Tuttavia è già possibile produrre alcune stime sui possibili andamenti economici, per quest’anno e il prossimo. Un utile esercizio è quello appena realizzato dalla Svimez, che con i suoi modelli prova ad indicare le tendenze economiche nelle grandi circoscrizioni del paese. I messaggi che emergono dall’analisi sono chiari, e sembrano ragionevoli per le conoscenze che oggi abbiamo.

La crisi colpirà duramente tutto il paese, dato che non è legata tanto all’intensità dei problemi sanitari che si sono avuti quanto al blocco delle attività economiche. Per quest’anno la caduta del Pil dovrebbe essere un po’ più forte nel Centro-Nord (-9,6%) che nel Mezzogiorno (-8,2%); andamento spiegato con la maggior importanza dei legami internazionali, tanto negli scambi di merci quanto nei flussi di turisti stranieri, delle regioni più forti del paese. Tuttavia, l’impatto occupazionale dovrebbe essere maggiore nel Mezzogiorno, con una caduta del 6%, più ampia del 3,5% che si registrerebbe alCentro-Nord: in valori assoluti, si tratterebbe di quasi un milione di occupati in meno, di cui quasi quattrocentomila al Sud. Anche questo fenomeno si spiega: la crisi ha colpito fortemente i comparti dei servizi, le piccole imprese familiari; e i lavoratori piùdeboli.

Purtroppo l’Istat ha già segnalato come i lavoratori a termine non abbiano visto rinnovati i loro contratti nelle settimane dimaggiore diffusione della pandemia. Tutte queste condizioni sono più rilevanti al Sud, dove è maggiore la presenza sia di occupati che di imprese più deboli. L’azione del governo ha contenuto la caduta dell’economia. Data la diversa struttura economica delle aree del Paese, e le caratteristiche delle misure prese, il suo ausilio è stato maggiore nelle regioni più forti, dove ha ad esempio, opportunamente, speso molto per la cassa integrazione. Fin qui si tratta di un’analisi corrispondente largamente alle aspettative.Ma quel che più spaventa delle stime Svimez sono le previsioni per il 2021. La ripresa dovrebbe essere decisamente più intensa nelle regioni più forti: anche lì insufficiente per recuperare la caduta di quest’anno, ma con un buon passo (+5,4%). Per il Mezzogiorno viene invece previsto un recupero modesto (+2,3%), che lascerebbe il Pil molto al di sotto dei valori del 2019; che, ricordiamolo, erano ancora inferiori a quelli del 2008.

E che soprattutto consentirebbe di creare solo 75.000 nuovi posti di lavoro; molto meno di quelli persi. Sono numeri che inquietano molto, perché è difficile immaginarne le possibili conseguenze sociali. Ogni catastrofismo e allarmismo va accuratamente evitato: ma è bene essere preoccupati. Le sfide dei prossimi mesi sono certamente molto ardue. Si tratta contemporaneamente di tenere insieme la nostra società, continuando a sostenerne le componenti più deboli; ma anche di spostare progressivamente le risorse disponibili verso interventi che possano rafforzare la crescita, e quindi l’occupazione: già nel 2020 e poi, con sempre maggiore intensità, nel 2021. Il Piano di rilancio reso auspicabilmente possibile anche dalle decisioni comunitarie di queste ore dovrebbe costituire la cornice di questa azione. Ne abbiamo avuto qualche anticipazione nel recentissimo Def.

In quella sede, opportunamente, è stato sottolineato come sia necessaria anche una grande attenzione alla composizione territoriale degli interventi, richiamando le clausole di spesa per gli investimenti e le prospettive presentate nel Piano Sud 2030. E’ da sperare che a questa indicazione di principio seguano fatti concreti. Anche se spessissimo si sente dire il contrario, il futuro del Paese si gioca al Sud. Nel male: è nel Mezzogiorno che la crisi sociale ed economica è più intensa e pericolosa, e ci può far correre rischi gravi.Ma anche nel bene: è nel Mezzogiorno la grande riserva di crescita del Paese, la maggiore possibilità di creare lavoro, di far ripartire i consumi; e lo sviluppo del Sud fa benissimo al resto del Paese, dato che la sua domanda attiva in misuramolto intensa produzione, e quindi lavoro, nelle altre regioni.

La pandemia ci ha così messo daccapo di fronte ad un grande tema dello sviluppo dell’Italia posto troppo in secondo piano quantomeno negli ultimi dieci anni: non si può convivere con un’ampia porzione del territorio, con venti milioni di cittadini, in una condizione di debolezza economica e sociale. Ci vuole welfare, ma non assistenza infinita; ci vuole lavoro, e per questo occorre investire. Per il bene dell’intero Paese. Si badi: è la stessa identica logica economica che il nostro gverno sta sostenendo nella difficile trattativa a Bruxelles: il benessere dell’Europa dipende moltissimo anche da quello dell’Italia: investire in Italia fa benissimo anche agli olandesi. Identicamente, il benessere del nostro Paese dipende anche da quello del Sud: investire al Sud fa benissimo a tutti gli italiani. La speranza è che nelle prossime settimane, di difficile contrattazione interna sulle risorse, nelle quali i gruppi di interesse più forti cercheranno di far valere le proprie specifiche ragioni e priorità, ci si ricordi di questi principi. 
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