di Carlo Nordio
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Giovedì 1 Ottobre 2020, 00:14
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha avanzato l’ipotesi di una revisione del Reddito di cittadinanza. Lo ha fatto con la circospetta prudenza di chi teme una reazione ostile da parte dei soci di maggioranza. Ma almeno lo ha fatto, perché la situazione rischiava, e rischia, di sfuggirgli di mano, per il succedersi di notizie che dimostrano se non il fallimento, certamente le criticità di questo istituto nella sua applicazione concreta. 
In linea di principio, il reddito di cittadinanza non è una cosa cattiva. Esso è previsto, in varie forme e denominazioni, nella gran parte delle democrazie avanzate, e ubbidisce a quel criterio di solidarietà sociale che mira a impedire la soccombenza all’avverso destino delle persone più povere. E’ un intervento assai oneroso per intensità e durata, perché una percentuale di indigenti ci sarà sempre, e quindi ogni anno il bilancio dovrà farsene carico. 

Va da sé che intensità e durata graveranno di più nei momenti di crisi economica, finanziaria, o sanitaria. Attualmente queste tre crisi si sovrappongono, e quindi l’onere rischia di diventare, come riportiamo in un servizio interno, eccessivo e insostenibile . 
Proprio per evitare questo disastro, il reddito di cittadinanza è - o dovrebbe essere – sottoposto a due condizioni: il reale stato di bisogno del richiedente, e la mancanza di una congrua offerta di lavoro.
Sono due accertamenti non sempre facili, ma indispensabili. Purtroppo non sembra che, sino ad ora, siano stati efficacemente eseguiti.

Sullo stato di bisogno, gli esempi di insinuazione truffaldina da parte di soggetti ambigui sono stati pari a quelli della negligenza e del ritardo nella loro individuazione. Abbiamo assistito alle richieste più eccentriche e alle erogazioni più scandalose a favore di finti divorziati e di proprietari di fuoriserie, fino alle mogli di boss mafiosi e ai presunti assassini di Willy Monteiro. Là dove occorreva un’accurata vigilanza per evitare abusi, lo Stato ha risposto con una ricezione acritica che ha offeso, tra gli altri, le migliaia di cassintegrati che non hanno ancora visto un euro.
Quanto alla congrua offerta di lavoro, la situazione, anche se è meno ripugnante sotto il profilo etico, è più pericolosa sotto quello economico e produttivo. Sono infatti numerosi gli esempi di beneficiari che hanno preferito godere di questo sussidio piuttosto che adattarsi ad attività considerate disagevoli.

Anche qui, pur senza precipitare in una diffidenza arcigna, si sarebbe dovuto procedere a una selezione rigorosa, evitando che il soccorso al disoccupato si convertisse in incitazione all’inerzia e alla maliziosa elusione. E’ infatti avvenuto che molti imprenditori, soprattutto nel ramo dell’agricoltura, si siano sentiti rispondere dai lavoratori, che nel passato li assistevano nei raccolti e nelle vendemmie, che non erano più disponibili, perché il reddito di cittadinanza era più comodo, e spesso più remunerativo. Un rischio che peraltro era già stato individuato dall’Ocse, soprattutto per Paesi come il nostro dove la novità del provvedimento non è stata accompagnata da un adeguato supporto di centri per l’impiego addestrati e territorialmente ben ripartiti. 

Questa distribuzione assistenziale disomogenea, generalizzata e confusa ha, come dicevamo, un impatto negativo non solo sulla credibilità dello Stato, ma sulla sua stessa economia perché è spesso accompagnata da un parallelo lavoro nero con il quale i “furbetti” integrano l’indebita percezione. Si crea così un moltiplicatore non solo di iniquità ma anche di dissesto, perché alle erogazioni ingiustificate si associano i mancati introiti tributari. Un circolo vizioso che alla fine si rivelerebbe finanziariamente funesto.

Bene dunque ha fatto Conte a porre il problema, prospettando, pare, un incrocio delle erogazioni con le domande e le offerte di lavoro, colpendo i rifiuti immotivati con la perdita dell’assegno. Tuttavia la risposta dei grillini è oscillata tra la perplessa cautela e la manifesta ostilità. Una reazione tanto più grave in quanto i pentastellati hanno sempre fatto della legalità una bandiera di combattimento, che davanti a questa esitazione nel reprimere gli abusi diventa un’astratta rapsodia oracolare. Forse sarebbe bene che il presidente del Consiglio, richiamandoli all’ordine, ricordasse loro che il rispetto delle regole deve prevalere sulla grossolana seduzione del momento e anche sul rischio di scelte sgradite.
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