di Alessandro Campi
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Martedì 12 Gennaio 2021, 00:10

La passione con cui Lucia Azzolina si sta battendo per il ritorno in classe degli studenti di ogni ordine e grado è davvero encomiabile, persino commovente. E largamente condivisibili sono i timori che va quotidianamente esprimendo circa i danni (dal punto di vista dell’apprendimento come anche sul piano emotivo e relazionale) che la chiusura delle scuole a causa della pandemia potrebbe provocare sul medio e lungo periodo. 

Peccato solo che lei non sia genericamente una mamma o un’insegnante legittimamente preoccupata per il futuro dei propri ragazzi o studenti, ma (esattamente da un anno) sia il ministro dell’Istruzione. Dovrebbe risolvere i problemi, non elencarli o denunciarli, tanto meno limitarsi agli annunci o alle battaglie di principio.

Colpisce e un po’ diverte dunque che ieri la Azzolina, nel corso di un’intervista radiofonica, si sia messa – probabilmente senza nemmeno rendersene conto – dalla parte sbagliata della barricata, abbracciando idealmente le proteste di studenti e studentesse (come anche di molte famiglie) contro il tira e molla sulla riapertura e di cui lei, il suo ministero e il suo governo, sono per forza di cose il bersaglio. 

Riapertura che proprio da questi ultimi era stata promessa solennemente per il 7 gennaio e che invece è slittata, nel caso delle scuole superiori, alla fine di gennaio. 

Ma nella stessa occasione la ministra Azzolina, di lotta più che di governo, ha anche espresso il convincimento che la didattica a distanza, così come forzatamente praticata in questi mesi, non possa più funzionare, dal momento che impedisce le relazioni sociali, accresce le diseguaglianze sociali e rischia di far aumentare la dispersione scolastica. Insomma, bisogna al più presto tornare nelle aule e riprendere le lezioni in presenza, come se ciò dipendesse dalla libera scelta di insegnanti, studenti e genitori e non invece da una decisione politica che al momento manca. Chi sostiene il contrario – ha concluso in una sorta di crescendo – è perché ha deciso, con cinismo, di anteporre la salvaguardia delle attività produttive al diritto all’istruzione, senza rendersi conto dei costi sociali e umani altissimi che pagheremo nel prossimo futuro.

Ben detto, appunto con veemenza e passione, ma se le cose stanno così di chi è davvero la colpa? Davvero si può sostenere, secondo le sue parole, che «il governo ha fatto tutto quello che doveva per il rientro a scuola»? Due giorni fa la Azzolina, per spiegare lo stato di grave incertezza in cui versa l’intero mondo della scuola e naturalmente per giustificare se stessa, se l’è presa con i presidenti delle Regioni, accusati di fare di testa loro in modo disordinato. Trascurando il fatto che questi ultimi hanno deciso il rinvio del rientro nelle aule (peraltro con date differenziate) non per un capriccio ma tenendo conto dell’andamento dei contagi e delle indicazioni, assai vincolanti, provenienti dal Comitato tecnico scientifico e dall’Istituto superiore di Sanità. Le stesse che, in queste ore, stanno spingendo il governo di cui lei fa parte a nuove e pesanti restrizioni. 

E’ stato facile ricordarle, riprendendo un paragone inutilmente polemico da lei stessa avanzato, che gli adolescenti che non vanno a scuola non possono nemmeno ritrovarsi al bar a prendere l’aperitivo, visto che anche questi ultimi sono forzatamente chiusi. 
Nei giorni precedenti, spalleggiata dai suoi colleghi del M5S, se l’era invece presa con gli alleati del Partito democratico, colpevoli di averle voltato le spalle nel Consiglio dei ministri e di aver scelto la linea del rigore non per convinzione, o perché ci sia un pericolo effettivo di contagio tra i banchi, ma per mero interesse elettorale.

Anche se, messa in questi termini generici, francamente sfugge come si possano guadagnare voti nelle urne sostenendo la necessità di tenere chiuse le scuole ancora per qualche settimana (posizione sulla quale peraltro si trovano anche diversi presidenti di Regione di centrodestra). 

Il problema è che il vittimismo è per definizione autoconsolatorio e autoassolutorio. Così come è troppo facile scaricarsi dalle proprie responsabilità dando sempre la colpa agli altri. Due strategie retoriche spesso utilizzate in politica, ma delle quali nel caso del M5S – di cui Lucia Azzolina sembra davvero una rappresentante da manuale: in politica dal 2017, deputata nel 2018, sottosegretario nel 2019, ministro nel 2020 – si rischia davvero di abusare. Se l’obiettivo prioritario del ministro era tenere aperte le scuole, come va dicendo da mesi e settimane, davvero non si poteva fare di più e meglio? Ad esempio lavorando insieme alle Regioni e al ministero competente sul rafforzamento del trasporto pubblico; programmando screening di massa a docenti, allievi e personale scolastico per impedire o scoprire per tempo eventuali focolai; aumentando gli organici per rendere possibile la diversificazione degli orari di entrata e uscita e dunque l’alternanza delle presenze in classe. 

Ma lo stesso potrebbe dirsi per la didattica a distanza, oggi dichiarata inutile e perniciosa dalla stessa Azzolina. In effetti, per molti – docenti e discenti – si è rivelata un’esperienza alla lunga noiosa e addirittura frustrante. Ma forse ciò è dipeso anche dall’uso convenzionale e riduttivo che si è fatto dello strumento digitale. Poco adatto per riproporre le classiche lezioni frontali, ma utile per proporre nuove modalità di insegnamento, nuovi contenuti didattici, nuovi linguaggi, forme diverse d’interazione e di coinvolgimento, nuovi criteri di valutazione. 

Quando si è capito che l’esperienza dell’insegnamento in remoto non sarebbe stata occasionale o limitata nel tempo (anzi, potrebbe ancora durare per mesi) bisognava forse agire sui programmi e sui contenuti per adattarli alle potenzialità di questo nuovo mezzo. Sarebbe interessante capire quanto la Azzolina, insieme ai suoi consulenti e dirigenti, si sia applicata su questo fronte autenticamente innovativo. Se lo avesse fatto ci saremmo tutti risparmiati il paradosso di queste ore: un ministro che involontariamente protesta contro se stessa e denuncia quel che lei per prima non ha fatto.
 

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